Alla finale del Premio Campiello al teatro La Fenice di Venezia, ieri sera, ai cinque finalisti sono state poste molte domande tra le quali: “Quanto ci hai messo a scrivere questo libro?” e “Quanto ci si mette a leggere questo libro?”. Domande buffe, in vero stile Geppi che le poneva, come se fosse una gara di velocità o di concentrazione, o quasi un invito alla lettura del più rapido tra i 5 da leggere.
Durante il maestoso e stupendo buffet finale ho posto una domanda simile a molte presenti. Alla ragazza avvolta, quasi bendata, di giallo canarino che trampolava su sandali fasciatissimi ho chiesto “Quanto ci hai messo a prepararti per la serata? Quanto ci metterai a tornare in “borghese”?, lei molto simpatica mi ha risposto “Guarda ho preso l’abito da un negozio di cinesi sotto casa che avevo fretta, l’ho infilato e via. Ci ho messo un po’ a mettere le scarpe e stirare i capelli, ammetto anche il trucco a tenuta caldo e tenuta cibo ha richiesto del tempo, diciamo un’oretta e mezza. Stanotte? 5 minuti e mi infilo a letto”.
Alla signora impeccabile in raso color cobalto, capello biondo foffato e trucco impeccabile ho posto le stesse domande “Guardi, sono andata dal parrucchiere oggi e dall’estetista ieri, l’abito, non dovrei dirlo qui, ma lo avevo già usato a un cocktail nella società di mio marito… il trucco quello sì, sa ormai supero i sessanta e il fondotinta ha bisogno di varie riprese…ma non devo dirle il mio nome e cognome vero? In tutto circa sei ore ecco. Al mio rientro a casa? Circa un’ora per sistemarmi per il sonno”.
Stessa domanda per una signora mora, capelli a caschetto “Circa mezzora, tra stirare la giacca e uscire, nulla più. Trucco? Non mi trucco. Stasera? I soliti dieci minuti tra doccia e letto. Cosa faccio? Sono una docente universitaria, sono qui per la letteratura”.
Passa imperturbabile una ragazza giovane, forse venti anni, altissima e bellissima, mi alzo sulle punte per sentire le sue risposte “Non so dire quanto tempo ci ho messo, sono così abituata a vestirmi per occasioni importanti con mio padre che ormai è routine, tra parrucchiere e scelta dell’abito eccetera forse un paio d’ore. Stasera? Credo un minuto”.
Impossibile avvicinare la bellissima e perfetta Marcegaglia per porle queste domande, ovviamente, ma nel codazzo che la segue alcune si fermano a piluccare tartine e allora mi inserisco: “guardi, non sono la moglie di un industriale ma sono un industriale, dunque sono molto pratica e sbrigativa, ho chiesto che fosse tutto pronto e stirato a una certa ora così mentre mi vestivo la parrucchiera che ho in casa mi ha sistemato acconciatura e make-up e in un’ora ero pronta e in un salto sono arrivata qui. Stasera? Quei dieci minuti, anche meno, devo dormire sei ore per esser pronta domani all’alba per la mia lezione di pilates”.
Avrei voluto tanto porre le stesse domande alla vincitrice del premio, ma è un uomo…
Possedere il tempo e possedere tempo non sempre vanno in proporzione, secondo Ettore Sottsass “anche nello spessore dei muri si può leggere il desiderio di possedere il tempo. Un desiderio raramente esaudito”