Johann Sebastian BACH (Eisenach 1685-Leipzig 1750)
“Cantate Sacre”
Andreas SCHOLL – Kammerorchester Basel, dir. Julia Schroeder
-Ich habe genug. BWV 82
-Gott soll allein mein Herze haben. BWV 169
-Nach dir, Herr, verlanget mich. BWV 150
-Bekennen will ich seinen Namen. BWV 200
-Komm, du süsse Todesstunde. BWV 161
-Schlage doch, gewünschte Stunde. BWV 53 (attr. G.M.Hoffmann?)
[CD Decca 478-2733 DH]
Quando, superati i 50 anni, si entra in un negozio di dischi la cosa di cui non si può e non si deve fare a meno sono gli occhiali da lettura.
Ieri, io, splendido ultracinquantenne, ho commesso questo marchiano errore. Sono entrato in un negozio di dischi senza avere con me gli occhiali da presbite.
Così, vedendo in bella mostra il disco nuovo di zecca e di Decca di alcune cantate di Bach eseguite dal controtenore Andreas Scholl, l’ho preso e ho provato a leggere quali fossero le cantate incluse.
Mi è sembrato di vedere la parola Gott e subito ho pensato alla massiccia cantata luterana “Ein feste burg ist unser Gott” (una fortezza sicura è il nostro Dio).
Il problema gli è che io, oltre che cieco, sono anche pochissimo esperto di musica. La fortezza sicura sin da ragazzo mi è sempre piaciuta moltissimo. Mi piace l’attacco che ti arriva come uno scappellotto dato da un amico mentre leggi la Gazzetta.
Non chiedetemi il perché ma io la cantata di Bach l’associo automaticamente a “Hey, hey, my, my” di Neil Young (ma quella “Into the black”). Insomma, per farla breve, se fossi un po’ esperto di musica mi sarei accorto che un disco con un unico solista non poteva contenere una cantata abnorme come “Ein feste Burg ist unser Gott”, che prevede, oltre a un contralto, anche un soprano, un tenore e un basso solisti.
Così ho comprato il disco di queste sei cantate di Bach, ma non ho sbagliato. È un giorno intero che non faccio che ascoltarlo.
Descrivere Bach o solo quello che si prova quando lo si ascolta è già un’impresa ardua, descrivere quello che si prova durante l’ascolto di Andreas Scholl è impossibile.
Pensare che questo ragazzone tedesco di educazione cattolica, che posta sulla sua biografia la foto del suo incontro con Papa Woytila, sia capace di contorcerti le budella, di scuoterti come un riff dei Pearl Jam, di avvicinarti così all’icona di Dio da diventare quasi folle, tanto da pensare di uscire nudo nella neve e di andare ad abbracciare tutti, di urlare forza Lazio – oddio! – , di far emergere tutti i tuoi ricordi più belli e di schierarli sulla formica del tavolo di cucina e, con le lacrime agli occhi, caparne uno per uno come capavi i piselli seguendo i gesti di tua madre che ti raccontava come te li avrebbe cucinati: con prosciutto e burro.
Pasolini è stato il primo a capire che la musica più alta fosse quella più appropriata alle bassezze umane. In “Accattone” la scena dei ragazzi che lottano rotolandosi a terra è accompagnata dal “Kirie eleison” della Messa in si minore,quasi a descriverne non l’immane lontananza bensì l’umana presenza e consistenza. In queste cantate, più che in altre opere, Bach ti sbatte in faccia l’uomo e la sua follia. Beati i folli, di essi sarà il regno dei cieli. Nell’aria dell’omonima cantata “Gott soll allein mein Herze haben” ( Soltanto Dio deve avere il mio cuore) Andreas Scholl fa scendere sulla terra Bach e mostra veramente il suo cuore, lasciando interdetti tutti coloro che pensavano che tra il battere e il levare ci fosse solo un sospiro. Scholl tra il battere e il levare ci mette un abisso di silenzio in cui ci affoga e poi ci riprende con le sue manone per portarci con la sua voce tra le nuvole.
Da questo esercizio sul tappeto elastico, alla fine del disco, usciamo mezzi morti, con le ossa rotte come se fossimo finiti sotto un tir. Siamo totalmente fatti, incapaci di spiccicar parola. Ci resta nella testa soltanto la voce di Scholl. Così, presi da un raptus, scappiamo di casa, rubiamo un’automobile e al primo semaforo, come se ricordassimo di aver dimenticato qualcosa, al vigile che ci guarda attonito chiediamo da che parte è la Turingia.