Due a Sanremo

Per essere bravi, sono bravissimi. Mi trascinano a seguire fino alla fine uno spettacolo di cui mi importa poco, cui però sono abituata e anche quasi affezionata. Mi distraggono dai cattivi pensieri. Eppure. C’è qualcosa che leggo in loro. Amadeus: professionalissimo, adeguato, agile – ma dal profondo mi sembra emanare gelo, come se stesse esibendosi in acrobazie che gli sono ben note, ma intanto pensasse a qualcosa d’altro, e di molto lontano, e molto più importante di qualunque canzone. Fiorello poi è bravissimo. Non sbaglia niente e sa fare montagne di cose, e tutte tanto, tanto bene. Eppure mi sembra terribilmente triste, nel suo candido e irreale sorriso tirato. Con quel collo sottile sottile, come una marionetta stanca. Ambedue si impegnano al massimo, hanno sulle spalle un compito difficile e lo svolgono alla perfezione. Se mi passate il paragone, mi paiono due cortesi becchini, come in certi film americani tra il comico e l’horror, tra brivido e tenerezza. In realtà forse, così, sono proprio i presentatori giusti, col giusto tono di falsa allegria, per questi tempi di cupezza e attesa. Se fossero dentro di sé davvero felici, come fingono di essere, sarebbe una offesa alla immensa quantità di dolore e paura che ci avvolgono tutti. Sono lì, come due Pierrot lunari, a farci ridere fra le lacrime. Quindi grazie, grazie a ambedue, non si poteva fare di meglio.

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