Sandra, dopo la malattia, sta per rientrare al lavoro in una piccola azienda di pannelli solari. Ma un’amica la informa che il proprietario ha indetto un referendum tra gli altri operai, proponendo un bonus di 1.000 euro ciascuno in cambio del suo licenziamento. Sandra, madre di due bambini con un marito come lei precario, ha bisogno di guadagnare per vivere. Nonostante sia ricaduta nella depressione da cui è appena guarita, la giovane donna decide di contattare uno per uno i suoi colleghi nel tentativo di rovesciare l’esito del consulto e, con una nuova votazione concessa dal padrone, di convincerli a rinunciare al bonus perché lei possa tornare al suo posto.
Ha due giorni e una notte per riuscire nell’impresa. Un’odissea dolorosa di casa in casa, in cui a volte trova usci chiusi e ostili, a volte aperti. Umili abitazioni di periferia, dove ognuno ha famiglia, figli piccoli o un po’ più grandi da mandare a scuola, dove c’è sempre un tetto o una grondaia da riparare, dove i soldi sono già finiti a metà mese e i mille euro promessi sono una benedizione cui è difficilissimo rinunciare.
I fratelli Dardenne, da sempre attenti ai problemi sociali, confezionano un film asciutto, amaro, tutt’altro che consolatorio. Dove la perdita del lavoro e il dramma che ne consegue escono dai confini della piccola storia di Sandra – una magnifica Marion Cotillard – per assumere la dimensione che il fenomeno ha a tutte le latitudini. Il lavoratore e i suoi diritti fondamentali vengono calpestati non solo nei paesi in via di sviluppo, ma anche in quelli industrializzati. Si scatenano ad arte guerre tra poveri e il mors tua vita mea è pratica quotidiana per la sopravvivenza. Due giorni, una notte (Belgio 2014 di Jean-Pierre e Luc Dardenne) è un film coraggioso, che nel finale segna il riscatto dalla necessità e dalla miseria per riaffermare la dignità della persona, e in cui la solidarietà vince l’egoismo.