Due riflessioni sull’ultimo Polanski

Collezionista di incubi di Costanza Firrao

Delphine è una scrittrice di romanzi: l’ultimo, che s’ispira alla vera e drammatica storia di sua madre, ottiene uno straordinario successo.Tra le decine e decine di lettori che affollano la libreria in attesa di un autografo, c’è una giovane donna che attira la curiosità dell’autrice. Lei/Elle – questo il suo nome – lavora nel campo dell’editoria e si offre di aiutare Delphine, soprattutto quando alcune lettere anonime vengono a turbare l’equilibrio già fragile della scrittrice. Tratto dal libro “Da una storia vera” di Delphine de Vigan, l’ultimo film di Roman Polanski è un noir dal ritmo teso, spesso claustrofobico, persino, in alcune scene, horror. Tra il Misery non deve morire di Stephen King e il suo Rosemary’s Baby, il regista di origini polacche imbastisce una trama elegante e stringente in cui realtà e finzione, ossessioni e manipolazioni si intrecciano in un abile gioco di specchi e riflessi contrastanti. Ma, nonostante la bravura delle due protagoniste – una plasmabile Emmanuelle Seigner e una luciferina Eva Green – il gioco in cui Polanski vorrebbe trascinare lo spettatore è prevedibile e scontato. Il maestro, a 84 anni e con una carriera folgorante alle spalle, dovrebbe forse smettere di coltivare i suoi incubi e di dare forma – anche attraverso le sue opere – ai fantasmi che gli hanno scombussolato la vita.

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Un maestro dell’inquietudine di Giuliana Maldini

 L’ultimo film di Polanski è materiale fascinoso per gli psichiatri e sconsigliato a tutti quelli che desiderano vedere storie rassicuranti. E Roman, si sa, ci turba da sempre raccontandoci mirabilmente i misteriosi grovigli della psiche. Qui si parla di un rapporto vampirizzante tra una donna dalla personalità cannibalesca e delinquenziale che ne plagia un’altra, dall’indole più fragile. Anche se tutto si complica ulteriormente e i ruoli s’invertono in un perverso scambio d’identità. Dall’inizio alla fine c’è una fortissima tensione e non si capisce fino a che punto la vicenda è reale o immaginaria. Nel film ci sono anche tematiche ansiogene come la paura della pagina bianca e della propria eventuale non creatività, la frustrazione di chi è costretto a fare il ghost writer e che invece vorrebbe essere più creativo. Inevitabilmente si fa il confronto con altri capolavori simili dello stesso regista, da “Repulsione” a “Luna di fiele” a “L’inquilino del terzo piano” (ma questo non è da meno) e vengono in mente anche riferimenti con altri registi che raccontano storie altrettanto angoscianti come “Persona” di Bergman o “Il servo” di Losey o “Misery non devi morire” di King. Ancora una volta Polanski, nonostante i suoi 84 anni, continua ad essere un grande maestro dell’inquietudine.
Quello che non so di lei di Roman Polanski – Francia/Belgio/Polonia 2017

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