L’ultimo lavoro di Nanni Moretti è stato già recensito su “larivistaintelligente” da Costanza Firrao (clicca qui). Tuttavia, visto l’interesse che il film sta registrando, pensiamo sia gradito ai nostri lettori che se ne parli ancora (La redazione)
Nanni Moretti, in stato di grazia, firma con “Il sol dell’Avvenire” il suo film ad oggi più bello, almeno a mio parere, il suo capolavoro: sì, capolavoro, perché se “le parole sono importanti” come lui stesso grida in “Palombella rossa”, non bisogna però averne paura. Summa delle sue ossessioni e nevrosi, ma anche dei suoi vezzi, trattati con leggerezza e un’autoironia abbastanza inusuale: basti pensare a cosa diviene l’idiosincrasia nei confronti della spettacolarizzazione della violenza nel cinema -la celebre scena di “Caro diario” dedicata a “Henry, pioggia di sangue” – amplificata a dismisura anche grazie ad ospiti illustri.
Un atto di amore nei confronti del cinema, che si ritrova nel plurimo sentito omaggio a Federico Fellini, ma anche nell’attenzione alle trasformazioni che il mondo della settima arte sta vivendo: dai produttori simpaticamente cialtroni di un tempo (splendida l’interpretazione di Mathieu Amalric) alle asettiche quanto boriose multinazionali dell’evasione attuale. E poi, via via, per il tramite di John Cheever, in “Un uomo a nudo” (“Il nuotatore”) di Frank Perry, con Burt Lancaster, del 1968. E più esplicitamente, da “Lola Montès”, di Max Ophüls (altro esempio dell’autoironia di cui si diceva). E ancora dal “San Michele aveva un gallo”, dei Taviani (drammatico apologo sulle contraddizioni del socialismo, non certo scelto a caso, trattando dell’invasione sovietica dell’Ungheria), dall’Aretha Franklin de “I Blues Brothers” (controcanto alla Caterina Caselli de “La stanza del figlio”, e anche di “Bianca”) – e di qui, forse, addirittura, dal Woody Allen di “Basta che funzioni” (il rapporto della figlia con l’anziano fidanzato, ma bisognerebbe riflettere su quanto Allen abbia potuto contare fin dagli esordi nel’autorappresentazione di Moretti), e, infine, dal sommo Krzysztof Kieslowski del “Breve film sull’uccidere” (versione estesa del “Decalogo 5”, da cui alle idiosincrasie citate).
Un atto d’amore che non può fare a meno dei volti che ci hanno accompagnato in questi decenni – la nostra vita – nei film di Nanni, riuniti in un corteo gioioso (versione morettiana del finale di “8 1/2”) che ci fa uscire dalla sala leggeri, seppure in tempi oscuri.
Molte delle scene de “Il sol dell’avvenire”, ne sono convinto, resteranno a lungo nella memoria degli spettatori, come solo ai più grandi è riuscito. Una festa anche sotto il profilo puramente visivo. Attendiamo Cannes con fiducia.