Ecco!

 

Senza di te mi girano le palle!
Non sopporto nessuno,
ma, del resto, nessuno mi sopporta.
Non saluto, mugugno,
non parlo, educatamente sorrido.
Ogni parola che ascolto
mostra l’intrinseca banalità,
il suo nulla immanente.
Neandarthaliani si affannano attorno a me
per darmi da mangiare o farmi divertire,
ma sono estinti da 40 mila anni.
Ecco!

Senza di te mi faccio schifo!
Le parole che dico, che scrivo,
comprese queste,
mi ripugnano.
Mi arrabatto con stratagemmi,
con avverbi all’inizio o alla fine
per accorciare il tempo,
per ridurre l’incazzatura,
ma io non ci casco e tu nemmeno.
Ecco!

Senza di te balbetto,
inciampo, mi spavento,
rimpicciolisco dinanzi al mondo,
mi blocco, mi perdo.
Allora ripasso
la grammatica della tua vita
e tutti i modi e i tempi
della tua originalissima
coniugazione del verbo amare.
Ecco!

Io dormo sotto l’ombrellone,
e tu miagoli l’indicativo presente.
Ecco!

Allo Spedale degli innocenti
a ripararci dalla pioggia
io e il mio famoso impermeabile
ascoltiamo la spiegazione
dell’affresco del passato prossimo.
Ecco!

Davanti San Babila,
mentre la neve si scioglie,
pure il tuo verbo si scioglie
in un insolito infinito futuro
per dichiararmi il tuo amore eterno
o quantomeno assai duraturo.
Ecco!

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