“Noi dovremmo assumerci la responsabilità dei vostri problemi?” Il vulnus politico e di mentalità, che avvelena qualsiasi soluzione comune alla tragedia dei profughi richiedenti asilo, è tutto riassunto nelle parole della presidente lituana Dalia Grybauskaite rivolte a Matteo Renzi nel Giugno 2015, durante un consiglio UE sull’immigrazione.
La generosa apertura delle frontiere ai siriani da parte di Angela Merkel era ancora là da venire. Il problema migranti era percepito da quasi tutti, ed era di fatto, “un problema italiano”.
Molto chiare soprattutto erano le idee dei governanti un blocco di paesi dell’est europeo, i paesi Baltici più Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia (questi ultimi quattro il cosiddetto “Gruppo Visegrad”), sulla proposta di redistribuzione dei profughi e dei migranti, formulata dal presidente della Commissione Europea, Jean Claude Juncker: una chiusura totale alla condivisione di ogni impegno, al più accettazione volontaria di poche persone.
L’Italia si trovava isolata nello sforzo di accoglienza, in un mondo sconvolto da guerre e conflitti, condividendo l’impegno gravoso con un altro paese periferico, la Grecia, affiancata più tardi soltanto dal generoso slancio della Germania una volta esploso il dramma dei profughi siriani.
E’ doloroso constatare che la situazione in merito non sia affatto cambiata, soprattutto dopo che un ambiguo accordo tra UE e Turchia, che ha suscitato parecchi dubbi, anche di carattere umanitario, ha chiuso il cosiddetto “corridoio balcanico”, lasciando intatti i problemi sul versante mediterraneo.
Anche i paesi del nucleo storico UE, alle prese con i propri guai di politica interna, disapplicano, tra ritardi e chiusure a singhiozzo delle frontiere in barba al trattato di Schengen, quanto “volontariamente” concordato con Juncker sulla redistribuzione dei profughi accolti in Italia e Grecia.
Tutto ciò dovrebbero considerare gli indignati nazionali contro lo straordinario impegno umanitario dell’Italia.
Occorrerebbe soprattutto smettere di ammiccare con simpatia alle posizioni egoistiche dei paesi dell’est. Costoro, accolti generosamente in Europa dai paesi fondatori dopo la caduta del muro di Berlino, prontissimi negli anni passati a godere dei lauti vantaggi economici garantiti dai fondi strutturali comunitari, continuano ad opporsi a qualsiasi soluzione comune ai cosiddetti “problemi italiani” sull’immigrazione. Troppe volte ci è toccato sentire politici italiani esprimere apprezzamenti sulla supposta capacità dei leader baltici e di Visegrad di “tutelare i loro cittadini dall’invasione”.
E’ di pochi giorni fa un referendum indetto dal premier ungherese Orbàn per impedire l’accoglienza di milletrecento migranti in un anno, quando l’Italia ne ha salvati in mare undicimila in quarantott’ore.
Il nostro paese non gode di molta scelta: non può pronunciare per bocca dei suoi leader parole rassicuranti su Schengen mentre si trincera dietro frontiere aperte a singhiozzo, non può alzare filo spinato e ridurre migliaia di persone ad un’esistenza grama in fangosi campi profughi: può soltanto scegliere tra buttarsi nel mediterraneo a salvare vite o far morire gente in mare.
L’Italia sull’immigrazione ce la dovrà fare, assecondando l’umanità che da sempre contraddistingue il suo popolo tra mille contraddizioni: potrà sempre guardarsi allo specchio, nonostante le polemiche interne, e l’ indifferenza estera.
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