Ho il belletto in mano e non so decidermi.
Nello specchio le vedo tutte, una nell’altra: Mirandolina, Santuzza, Cleopatra, Fedora, Odette…
Le mie donne. Me.
Bussano alla porta del camerino.
“Signora Duse, è la mezz’ora”.
Guardo di nuovo lo specchio. Sono ancora tutte là.
Non posso. Sul palco le mie donne mi fanno vera. Niente belletto.
Bussano ancora.
“Signora Duse, ci sono rose per lei”.
Non so chi le mandi. Le sistemo nel vaso coi tulipani, insieme stanno bene. Forse l’omaggio di qualche critico. Che domani sul giornale scriverà: “La divina Duse ancora senza trucco sulla scena”.
Già. Non c’è trucco, sulla scena. Lì solo io e le mie donne.
E loro mi chiamano Eleonora.
” Recitare? Che brutta parola! Se si trattasse di recitare soltanto! Io sento che non ho mai saputo, e non saprò mai recitare! Quelle povere donne delle mie commedie mi sono talmente entrate nel cuore e nella testa che mentre io m’ingegno di farle capire alla meglio a quelli che mi ascoltano, quasi volessi confortarle, sono esse che adagio adagio hanno finito per confortar me!”
Eleonora Duse