In fondo sono verdi tutt’e due, ma come altri campi di gioco. Uno è circoscritto e al chiuso, l’altro ha spazi enormi all’aperto. Ambedue gli sport usano un attrezzo, ambedue hanno buche da infilare, non prevedono scontro fisico, esigono parecchio fairplay. Ma, soprattutto, sono lenti. Accurati nel gesto, preparato e calcolato, riflessivi nelle pause. Golf e Biliardo hanno in comune la mancanza di velocità, i tempi assillanti della prestazione, lo sprint, il ritmo forsennato, la rapidità di spostamento e esecuzione. Entrambi non hanno l’affanno della corsa, il fulmineo gettarsi in avanti, vogliono ponderati movimenti che richiedono allenamenti asfissianti e una calma celestiale. Al posto dei centesimi di secondo misurati dal cronometro, fanno i conti con i centimetri. E calcolano parabole, effetti del movimento, angoli, traiettorie. Lo spazio al posto del tempo. Una rivoluzione filosofica oggi, la ribellione al tutto subito, ora, adesso, mentre, alla dittatura del fast and furious, del multi-tasking, di quello “sbrigati” diventato l’esortazione delle nostre vite che si protendono perennemente in avanti, simultaneamente. Vince chi arriva primo. Prima degli altri. Golf e biliardo usano il tempo a servizio dello spazio, ondulato o piatto, di un luogo definito che si deve magistralmente interpretare. Che sia un bunker di sabbia prima del green o una biglia lucida che non “vede” la buca. Che siano l’uno sport da ricchi e l’altro sport da poveri. Pensare, immaginare la strategia, controllare i colpi. La ragione che anticipa il gesto, valutando prima di eseguire. Su questa sicurezza si basa l’istinto, perché noi non possiamo piegare lo spazio come facciamo con il tempo. E’ lo spazio che semmai piega noi, ci gira intorno, ci dice: io sono questo, comprendimi. Belli golf e biliardo, che non vogliono urla dei tifosi e cori, ma la compostezza del pubblico, silenzio mentre si gioca e applauso finale quando si imbuca. Belli nella tensione, belli nel rispetto, belli nella calma che infondono.