«I cazzotti fanno male» ripete Artemio Altidori ne I mostri di Dino Risi. Lo pensava anche Emile Griffith che non immaginava di diventare proprio come il pugile suonato interpretato da Gassman.
Nel ’63, quando uscì il film, Griffith non era soltanto il miglior pugile al mondo, ma anche il più temuto.
L’anno prima un arbitro distratto gli aveva consentito di massacrare Benny Paret. Prima dell’incontro, il cubano aveva dato a Griffith del maricon. Sul ring, Paret aveva mandato Griffith al tappeto e si sentiva il match in tasca. Cosa gli impediva di sussurrargli ancora nelle orecchie: «Maricon. Tu eres un maricon»?
Mai dire frocio a un omosessuale che tira di boxe, direbbe Hap, della coppia Hap e Leonard (1). Perciò quel frocio calò sulla testa del cubano ventinove cazzotti in pochissimi secondi. Paret finì in coma. Dopo nove giorni morì e tutti pensarono che con lui fosse morto anche Griffith. Invece Emile continuò a prendere a pugni tutto quello che si trovava davanti. A cercare di distruggere le gabbie costruite intorno alla sua identità, perché un pugile deve essere eterosessuale, punto.
Emile, probabilmente, non conosceva Rousseau e certamente non aveva letto l’Emilio, ma fino all’adolescenza era vissuto proprio come il suo omonimo: libero.
Sulle spiagge di Saint Thomas, nelle Isole Vergini, aveva imparato a far la lotta con i suoi compagni. Poi divenne naturale abbracciarli e riconoscersi nei loro corpi. Amarli, per lui, fu come bere un bicchier d’acqua. Ma New York non voleva che bevesse quel bicchiere. New York non voleva che fosse nero. New York non voleva che continuasse a essere il campione di una categoria da sempre appannaggio di broccolini come La Motta e Graziano.
Un giorno, dopo undici anni di vittorie, Griffith trovò sulla sua strada un istriano con gli occhi azzurri e idee non proprio progressiste: Nino Benvenuti. Si scontrarono tre volte per il titolo mondiale pesi medi. Per tre volte Emile tentò di passare: la prima non ci riuscì. Forse non si aspettava di trovare un pugile vero sotto quel casco biondo. La seconda gli passò sopra come un carro armato, rompendogli le costole. La terza volta fu New York a decidere. E New York non voleva un campione nero e gay.
Griffith perse il titolo, ma trovò in Benvenuti un amico vero. Un amico che gli fu vicino quando decise di fare coming out, proprio mentre il capo del partito in cui il pugile italiano aveva militato dichiarava che gli omosessuali non avrebbero mai dovuto diventare maestri elementari.
Per Nino ed Emilio (come Benvenuti lo chiamava) questa amicizia è stata la vittoria più grande. Emilio, affetto da sindrome da demenza pugilistica, se n’è andato il 23 luglio scorso. Essere omosessuali, nella boxe, è ancora “vietato”.
(1) Hap Collins e Leonard Pine, protagonisti di una serie di libri dell’americano Joe R. Lansdale.