L’estate in cui incontrai per la prima volta mio marito, a Budapest, lo vennero a trovare due suoi amici da Roma, i due più cari, quelli degli anni del liceo e dell’università. Uno della coppia, fidanzatissimo a Roma, conobbe una giovane praticante parrucchiera di Budapest di appena diciassette anni, di nome Teréz. Lui non la incoraggiò, credo anzi che le avesse pure raccontato della fidanzata a casa, ma Teréz forse non capì per mancanza di una lingua comune, oppure non volle capire e preferì sognare. La conobbi anch’io, era una ragazzona simpatica, ingenua e genuina, e dopo la partenza di tutto il gruppo italiano mi venne a trovare più volte. Io cominciai a masticare un po’ di italiano e la aiutai a scrivere al ragazzo che le mandò qualche cartolina con convenevoli. Lei però continuava a illudersi, a Roma lo capirono e in una lettera il mio futuro marito mi chiese di spiegarle che era solo amicizia, e forse neppure quella. Infine il ragazzo volle sfilarsi del tutto e come regalo di addio le mandò uno dei dischi più belli dell’epoca: Emozioni di Lucio Battisti. Che giunse puntualmente a Budapest, con due parole che sgomberarono la speranza, aggravate anche dall’imposta di dogana che la povera Teréz dovette sborsare per entrarne in possesso. Inizialmente rimase tanto male da non voler sapere del disco; me lo affidò per non vederlo neppure in giro per casa. Mi piacque subito, al primo ascolto. Tradussi le parole e mi ci affezionai ancora di più, per giorni e giorni era ospite fisso del mio giradischi, fino al giorno in cui Teréz lo rivolle, perché non era più innamorata e ascoltarlo non le faceva più male.
Budapest Emozioni Lucio Battisti