Ho visto il film Lo stradone col bagliore, omaggio a Enzo Jannacci.
È un documentario, ma mi ha trasmesso una rarissima, potente emozione. Bravissimo il regista e autore del progetto, Ranuccio Sodi, per aver raccontato col cuore chi era Enzo Jannacci, partendo dalla loro amicizia che si era creata nel corso di molti anni di sodalizio, riuscendo nell’impresa di non sovrapporre nulla di sé al personaggio che era Enzo. Unico e geniale.
Il film sottolinea bene la personalità fragile e poliedrica, l’umorismo a volte involontario e semplice, a volte raffinatissimo di Jannacci. Rivela la sua ironia, quella che se non l’hai capita allora, non hai speranza di capirla più. Racconta delle difficoltà e delle fragilità dell’uomo, del complesso rapporto con la Rai, che mai lo ha compreso fino in fondo, TV di stato popolare e forse un po’ pavida. Il successo glielo abbiamo riconosciuto noi, il suo pubblico sempre fedele.
Ranuccio Sodi riesce anche a parlare con lievità di Milano, la città patria di Jannacci, madre del dialetto nelle sue canzoni. Lo fa rivelando anche un po’ della propria storia di immigrato, lui toscano arrivato bambino nella nebbiosa città del nord degli anni sessanta, dove la forte cadenza era vista con sospetto tra i compagni di scuola. Succede che le canzoni di Enzo lo accompagnano crescendo e gli insegnano ad amare una città sobria, per non dire fredda, scoprendone i retroscena e il calore, il carattere dei suoi abitanti.
E anche in noi spettatori milanesi si affollano i ricordi: scorrono le immagini della Milano operaia, di Lambrate, dei Navigli che Enzo descrive in ogni angolo, in ogni personaggio con la sua “vociaccia”, come la definiva mio padre, suo fan accanito, morto dal ridere per le sorti dell’Armando. «Vengo anch’io? No tu no!» diviene un cult, e vale per descrivere una inadeguatezza, un modo per escludere o sentirsi esclusi. Vedete poi voi da cosa e da chi.
Alternate alle immagini della giovinezza e degli esordi, dei successi, ci sono quelle di Enzo provato alla fine dei suoi giorni, un po’ impacciato, ma chissà, forse solo apparentemente. Perché Enzo era sempre al limite del surreale, lui così sensibile alla realtà.
Speriamo che questo video, come dice Ranuccio Sodi, faccia amare ancora a lungo il grande artista che era Jannacci, e che i giovani comincino a riscoprirlo per riproporlo.
Dal canto mio, spero che lo vedano tutti quelli della mia generazione che hanno almeno un amico col quale hanno cantato a squarciagola I scarp del tennis, pianto con Vincenzina e Io e te”, riso con Quelli che… e che le hanno amate tutte, tutte senza distinzione, le belle eterne canzoni di Enzo Jannacci.