Da bambina bella ero, bellissima. Bionda e allegra, che quando mamma mi portava a fare la passeggiata al centro ci fermavano tutti, che mi volevano pizzicare e dare i bacetti. E ogni volta che andavamo alla spiaggia, mi salutavano tutti i turisti tedeschi, che si pensavano che ero paesana a loro.
Mi chiamavano la Barbi del Vesuvio, con le treccine e gli occhi grandi come due biglie di vetro blé. Mi facevo tutte le gare di bellezza dei paesi, e le vincevo sempre, per l’orgoglio di mamma e papà. Poi, da un giorno all’altro, che io mica lo sapevo che mi stava succedendo, mi sono venute le mie cose, mi sono ritrovata signorina e sono cambiata tutta, dentro e fuori. Mi sono persa le rotondità delle mie ciccette e la luce della pelle e sono diventata scura scura e secca secca.
Ho due borsette sotto gli occhi che sembra che la notte mi pigliano a mazzate e non mi lasciano dormire. La bocca è piccola e rugosa, a culo di gallina, le gambe due stecchini, e il culo è diventato tutto moscio. Pure le tette sono così striminzite, che quando vado alla spiaggia le bambine mi prendono in giro che sono troppo piccole. La mia vita è diventata ‘na vera fetenzia.
Sto sempre incazzosa, scontrosa con tutti, che invece di parlare abbaio. Infatti nessun uomo mi ha pigliata, che sono ancora vergine a quarant’anni, perché chi se la prende un’antipatica arraggiata come a me!
Pure al paese nessuno sa più come mi chiamo. Di Carmelina ‘a tedesca nun se ne ricorda più nisciuno. Mi conoscono solo col nomignolo mio, che quando morirò, sugli annunci da incollare per strada, per capire che so’ io chella che se n’è gghiuta, sotto al nome mio ci dovranno scrivere pure faccia ’e torza. E allora io qua resto. Tié.