Calliope cara amica mia,
Il treno lascia lento la stazione e io, con la testa appoggiata allo scomodo schienale, libero lo sguardo e mi ritrovo a formulare orrendi giudizi nei confronti di persone, uomini, situazioni. Non ho mai sperimentato un tale sentimento, una pulsione incontenibile che sta manipolando i miei pensieri, una energia negativa che incanala i miei sentimenti in direzioni che non ho scelto, costringendomi a vivere una sorta di triade dell’astio, un connubio tra rabbia disprezzo e disgusto.
Porto nel cuore l’assenza del tuo sguardo, il silenzio assordante di una voce strappata, avrei voluto urlare tutto il tuo dolore, avrei voluto cancellare quel tempo che sembra aver spento per sempre la tua luce.
Per quanto io sia persona forte e razionale, devo accettare che gli eventi mi abbiano sopraffatta, la maledetta violenza mi sta mettendo alla prova, devo fare chiarezza dentro la mia persona, guardarmi in faccia e ammettere ciò che sto provando.
Forse è odio?
Credo fermamente nelle sensazioni, quando l’aria intorno a te parla, quando senti un vento gelido che ti schiaffeggia il volto; ma non voglio ascoltarle. Non è facile riconoscere che si può odiare qualcuno, ma è inevitabile; se voglio riuscire ad andare oltre, devo accettare che ora sono tutto ciò che non avrei mai voluto essere.
I tuoi occhi spalancati nel vuoto, mi rimandano immagini agghiaccianti, che come schegge trafiggono la mente, liberano spazi, momenti, sguardi, sensazioni e lacrime. Provo a indossare i tuoi panni, a muovere i tuoi occhi, tento maldestra di capire cosa possa provare una donna calpestata nella sua dignità, nei suoi bisogni, nella sua intimità, nella sua anima.
Non è facile ma doloroso pensare con la tua mente, provare a capire quale sentimento ti fa più soffrire e quale invece ti aiuta a non lasciarti andare. Tendo le mani nell’infantile tentativo di raggiungerti, ma le mani si allungano nel nulla, davanti a me il vuoto e un vento gelido, soli compagni.