Essere il capo

Tanta gente che pende dalle tue labbra e ripete le parole che dici sforzandosi di replicare il tono e il gesto con cui le proferisci. Molti sono convinti che essere il capo vuol dire avere stuoli di figuri che s’inchinano al tuo passaggio, e affinano la lingua sulla lama dell’adulazione anche quando non devono chiederti un favore per sé o per i familiari, o che mordono il freno di fronte alle tue debolezze, scambiandole per virtù a cui tutti aspirerebbero se non li convincesse l’idea che tu solo puoi incarnarle senza che altri ti accusino per l’unicità che rappresenti.

Non credo al destino scritto nelle carte, non credo alle profezie. La lettiga traballa. C’è un uomo che agita un pezzo di carta e si butta ai miei piedi. Mi supplica di leggerlo. Ripongo il foglio ripiegato. Lo leggerò più tardi.

Sulle scale della Curia, Antonio china la fronte e apre un braccio verso l’ingresso, come se volesse indicarmi la via.

Essere il capo è avere nemici tra quelli che ti seguono, è leggere negli occhi degli amici la luce sospetta di chi si prefigura un futuro in cui tu non ci sei più.

«Ave Caesar», la Curia rimbomba. Tanta gente, troppa gente per una normale seduta del senato.

 

15 marzo a Roma

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto