Oggi, in tempo di social network, di connessioni, chi siamo? Come siamo? Ci connettiamo nel virtuale con persone reali che però non abbiamo mai visto né incontrato o con persone virtuali che ci appaiono più reali del reale, semplicemente perché diventano quello che noi vorremmo, rappresentano una parte di noi che consideriamo più vera.
È il caso della modella e cantante Miquela Sousa che su Instagram ha più di cinquecentomila seguaci o, come si dice, followers, che si chiamano fra di loro miquelites. Credo che i seguaci sappiano che la loro beniamina è un’immagine generata dal computer e partecipano a questo rito collettivo dell’adorazione di un’icona, di una rappresentazione che veste all’ultima moda, dispensa consigli, è una “influencer” – per usare ancora una volta un termine ricorrente nell’era moderna – e anche una promotrice di campagne per i diritti degli emarginati, dei neri e delle persone transgender. Se non è reale può essere tutto e tutti possono essere lei. Nessun confine, nessuna figura immaginata o immaginaria ma tutto più reale del reale perché assomiglia esattamente a ciò che è chi ne fruisce. L’io vero, chiunque uno crede che sia.
Nessuno stupore dunque che esista un ristorante a Londra che in pochi mesi ha raggiunto il vertice negli apprezzamenti su Tripadvisor, peccato che anche questo rinomatissimo e apprezzatissimo locale non esista e nonostante tutto ha una lista d’attesa chilometrica per le prenotazioni. Meglio non esistere, meglio non essere per venire apprezzati. Perché nella realtà ci si sporca le mani, si può sbagliare, ferire le persone, perderle, vederle morire, allontanarsi, ci sono rischi, dai quali fuggire.
Ci sono anche opportunità da cogliere. C’è da dire, per esempio, che la modella virtuale può frequentare il ristorante virtuale e goderne a zero calorie. Vuoi mettere?