Dal foulard annodato si sprigiona un profumo di colonia. Vibrano le narici. Un fremito scuote gli zigomi. Sorride. È uno sforzo terribile, che non lo scompone più di tanto. Poggia una mano sulla tesa del cappello che ha sistemato sul tavolo. In quel momento la piega dei pantaloni scopre un filo di calza, che però si accorda con il tutto. Poi ritrova l’equilibrio e giace. Un capolavoro di compostezza.
Dal taschino sbuca una dalia bianca, fresca, sontuosa. Una mosca sull’orlo della tazzina rinuncia ad avventurarsi sulle pareti macchiate di caffè. Si leva in volo e va a posarsi sul fiore.
Vorrebbe scacciarla. Ma non può. Un gesto troppo volgare. Patisce in silenzio e s’impone indifferenza, lo sguardo fermo davanti a sé, anche quando una seconda mosca raggiunge la prima.
Entrambe si tuffano e rituffano nel fiore che spumeggia sulla giacca. Compiono i loro stanchi ghirigori, incoraggiati dall’impassibilità dell’uomo che non può sottrarsi alla perfezione sovrumana a cui si è condannato. Un sacrificio ben ripagato, il suo, se è di ammirazione lo stupore che sembra illumini il volto dei passanti. Più d’uno invece si sorprende che un cadavere sieda al tavolo del più elegante caffè della città.
Immagine: Sabrina Suadoni