EVA CONTRO EVA

ALL ABOUT EVE (Eva contro Eva) Noël Coward Theatre, West End, London

«Quel che sei io ero; quel che sono tu sarai.»
Il senso più profondo di questa rivisitazione teatrale – da togliere letteralmente il fiato – del capolavoro del 1950 di Joseph Mankiewicz, con Bette Davis e Anne Baxter, è tutta nella frase raggelante sull’entrata dell’ossario della cripta dei Cappuccini a Roma. A Roma a pronunciarla, come un destino che è una vera e propria condanna, è lo scheletro – uno dei tanti – di un frate lì da secoli; a teatro sono le immagini, sotto gli occhi angosciati di tutti, delle attrici protagoniste della storia, che si guardano invecchiare allo specchio di un camerino, e così si vedono l’anima e scrutano nell’abisso delle loro paure.
All About Eve, di Ivo Van Hove, diventa una riflessione molto più scura, piena di ombre che nel 1950, epoca di maggiori speranze e minori paure, non c’erano; riflessione sulfurea, non solo sul meccanismo dello spettacolo che stritola effimere pedine elevate per un attimo agli altari del successo, ma è, anche, una favola inquietante sulle paure della nostra epoca di insicurezza e idolatria estetica, epoca di social e di vicinanza quasi forzata tra spettatore e star, resi quasi intercambiabili, nella disperata, generale ricerca di apparire – fino al momento di trovarci tutti uguali o tutti ugualmente insignificanti e intercambiabili come gusci, come cavalieri inesistenti vuoti dentro. Non a caso l’ambientazione, sul palco, richiama la famosa “factory” di Andy Warhol (“ognuno avrà diritto al proprio quarto d’ora di celebrità”).
Un ambiente claustrofobico e quasi sordido a tratti, fatto di muri a vista e piastrelle di bagni, con la sola macchia di luce dello specchio del camerino, in cui Margo si guarda ossessivamente e ossessivamente si conta le rughe, una scena punteggiata di gigantografie di lei più giovane, a serrarle la vita e ricordarle, come una condanna, chi era e chi potrebbe non essere più (“tra dieci anni Margo Channing non esisterà più e resterà solo la donna”). E se per il successo ci si è liberate del nostro essere, dell’essere donne, persone, arrivate in cima si rischia di non trovare più nulla.
Il personaggio diventa una maschera che ti mangia la faccia. Gillian Anderson nella parte di Margo è degna di Bette Davis, anzi credo che Bette, dal paradiso degli attori, sarà fiera e anche un po’ invidiosa, come Margo dev’essere, di questa interpretazione, da urlo, della sua “rivale”. La Margo di Bette era dura e con accenti di inusitata dolcezza, che mai ci si sarebbe aspettati da lei; la Margo di Gillian è più disperata, di una disperazione moderna e quindi per noi che la riconosciamo, inquietante; con gli sprazzi di umanità e fragilità, nella maschera di una freddezza che è solo difesa, che sono il marchio della Anderson.
Lily James è sorprendente; Eve convince, con qualche sbavatura; mi è piaciuta molto, ho amato la sua espressività, anche se talvolta non riesce a scrollarsi di dosso i suoi ruoli di eroina positiva Disney – e non riesce a mutare il candore in perfidia, alla maniera della Baxter. Crescerà. Una menzione per la straordinaria Monica Dolan nella parte dell’amica di Margo, Karen. L’Olivier Award per la migliore attrice non protagonista è tutto meritato: interpretazione calda e fluidissima, piena di senso, il vero e proprio collante che dà armonia alle varie fasi della storia.
Alla fine Margo si libera piano piano della pesantezza degli orpelli che ne fanno una maschera (il vestito rosso, la parrucca) e Eve se ne carica: come una benedizione o come una condanna.
In conclusione tutta la libertà sta nella capigliatura fluente e spettinata – quella vera – di Gillian Anderson che rivendica il suo essere donna (e chissà se a parlare è veramente Margo) tornando “se stessa” in questo modo in una mirabile mise en abyme e confusione tra realtà e teatro.
Se siete a Londra entro l’11 maggio, All About Eve è imperdibile.

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