Nozze d’oro
Le visite dei morti
capitano sempre
in momenti inopportuni.Mentre stiamo per andare al cinema.
In discoteca. Al supermercato.E loro ci portano frammenti
di muri. Pezzi di lamiera.
Fili di ferro avvolti nel dolore.
E dicono imbarazzati
Eppure la morte è la vita stessa…Che farci.
Ci spogliamo.
Ci facciamo un caffè.Tiriamo fuori una bottiglia di bourbon
e ci guardiamo
dritti
nell’abisso.
Le poesie di Ewa Lipska nascono da una osservazione acuta e incalzante della realtà che la circonda: l’autrice in veste di testimone mette in versi una contemporaneità arida, un mondo rinsecchito, relazioni umane per le quali non ci sono risposte, “Il mondo / in cui vivevamo / si chiamava Rebus / e se ne infischiava delle nostre domande”. Lipska narra in poesia del visibile e dell’invisibile che ci circonda, narra di quell’abisso che attende se solamente di poco ci allontaniamo dall’incantato mondo digitale, “Poggiamo un dito / sul lettore di impronte digitali / e iniziamo ad amarci/ […] / Il nostro letto / nel diario. / Toccami / e tieni premuto/ Ci baciamo / con miliardi di bocche”. L’abisso c’è in quel reale che è la non ricomparsa: il vuoto lasciato da coloro che “non sono tornati” si tocca tra mandarini e foto alle pareti. La parola è precisa, netta, pochi gli aggettivi, pochi i colori. Una parola chirurgica che seziona la realtà cercandone la poesia. Come i gradi poeti Lipska sa che è il quotidiano non può rimanere orfano di parole e deve offrirsi alla poesia, “ i versi sono come cani abbandonati / che abbaiano alla poesia”. L’abisso ci attende, insieme all’avaria del mondo” che è in arrivo, e noi attendiamo lui, l’abisso, per guardarci e guardarlo.
Ewa Lipska, Il lettore di impronte digitali, Donzelli, 2017 Traduzioni di Marina Ciccarini.