Non sono mai stata brava con le ninne nanne. Ne ho portate in dote dalla mia infanzia soltanto due. La prima, composta da mia madre di sonno in sonno, parla di bimbi che dovrebbero dormire mentre la neve scende lieve. La seconda, appresa dalla nonna materna, è annodata a un’antica tradizione. Racconta di un bimbo da cullare, non si sa bene a chi darlo e se non si addormenterà, andrà dritto in bocca al lupo. I bambini dormivano in apparenza senza incubi.
La canzone di Marinella è diventata la mia ninna nanna. Ho iniziato a cantarla a un fratello di otto anni più giovane, prove generali del mio istinto materno. La prima volta che l’ha ascoltata in radio, dalla voce di Fabrizio de Andrè, mi ha rivolto una tenera frase d’amore. È rimasto pensieroso, poi mi ha detto: «La canti meglio tu». Non è vero, ma ero il suo imprinting.
L’ho sussurrata anche a mia figlia. Ogni volta, mi chiede come abbia fatto quella fanciulla a scivolare nel fiume. Chiede anche conferma che l’amato abbia davvero bussato alla sua porta per tutta la vita. Leggo sul suo viso lo sgomento per quella storia d’amore perfetta, che si conclude con una mano severa del destino.
Come tante altre storie nella vita, amore mio.
Ciao Fabrizio