Michele, da trent’anni maestro in una scuola della periferia di Roma, chiede il trasferimento a Rupe (nome azzeccato), paesino sperduto nel cuore dell’Abruzzo, nell’alta Val di Sangro. Sorpreso da una bufera di neve, bloccato in macchina, morto di freddo con la sua giacchetta e i mocassini leggeri, viene salvato dalla sbrigativa Agnese, vicepreside della minuscola e unica scuola di Rupe. Ad accoglierlo una monoclasse di sette bambini, dalla prima alla quinta elementare. Insieme ad Agnese, un rude tutto fare e un’altra insegnante che migra da un paesino all’altro.
Michele, animo sensibile, ecologista, amante della natura assegna come primo compito ai bambini: “Salvare il mondo prima di cena”. L’assurda richiesta in quel “mondo a parte”, spopolato, immiserito, dove tutto è andato in malora e si stenta a sopravvivere, viene stroncata sul nascere. Michele viene riportato alla realtà, dura e cruda, da tutti gli attori di quello strano palcoscenico che rischia di crollare da un momento all’altro. “Pensava di venire qui a vedere il foliage autunnale”? Lo sfotte un padre di famiglia, che ha problemi seri con il figlio più grande, che invece di andarsene, come tutti i suoi coetanei a cercare fortuna altrove, ha deciso di restare a coltivare lenticchie.
La “restanza” invece della transumanza. Michele si adatta pian piano ai ritmi della scuola e del paese: impara finalmente ad accendere la stufa per scaldare il suo appartamento, compra vestiti e scarpe da montagna, comincia a capire qualcosa di quel dialetto incomprensibile – più facile il suhaili – e a rispondere al saluto della gente con il gutturale “òhu!”. La resilienza però, non è sufficiente a salvare Rupe e la sua scuola dalla chiusura (troppo pochi i bimbi) con il sindaco del paese vicino che vuole accaparrarsi gli alunni per rendere più appetibile la sua struttura scolastica.
A Michele e Agnese, con la sofferta acquiescenza del sindaco, del poliziotto, del parroco e di altri “abbienti” viene in mente un piano per ripopolare la scuola, unendo spirito di accoglienza e opportunità non proprio disinteressata. Decidono di ospitare bambini profughi dall’Ucraina con le loro famiglie, oltre che una colorita tribù di marocchini con il loro rampollo in età scolare. Tra mille sotterfugi, aiuti inaspettati, piccole truffe, la cosa funziona e la scuola di Rupe ha finalmente una prospettiva.
Riccardo Milani dopo altri film di successo (Grazie ragazzi, Come un gatto in tangenziale), torna al cinema con una favola dolce-amara, in cui si raccontano fatti e persone, aspirazioni e sentimenti, paure e piccole gioie, dove il cri-cri di un grillo fa primavera anche in pieno inverno e il branco di lupi marsicani si prende cura dell’ultimo arrivato. Dove spesso gli adulti (Michele) sono dei tontoloni e i bimbi delle elementari furbi come volpi e informatizzati come esperti del settore.
Antonio Albanese, perfetto nel suo ruolo di maestro amorevole, protettivo, dipinge il suo personaggio di mille sfumature: con lui si ride e ci si commuove senza mai scadere nel banale. Fantastica Virginia Raffaele nel ruolo della vicepreside: come manda a “fangul” lei urbi et orbi non c’è nessuno. Bravi tutte e tutti gli altri, grandi e bambini, che interpretano se stessi con straordinaria presenza.
“La montagna lo fa” è il tormentone che si ripetono in quel “Mondo a parte“. Non si sa bene cosa, ma lo fa.
Un mondo a parte – di Riccardo Milani – 2024