Vi ho mai raccontato di quella volta che il Re d’Italia mi salutò?
No, non c’entra niente il libro Cuore, con quel padre che porta il figlio a veder passare Umberto I° in carrozza per le strade di Torino. Coretti, mi pare si chiamasse. Era un reduce della guerra d’Indipendenza, un vecchio soldato che aveva fatto parte del quarto battaglione del ’49 (milleottocento, s’intende!) e quando la carrozza col re gli passa vicino perde la testa per l’entusiasmo e si lancia, rompendo il cordone di sicurezza, per stringere la mano al re, che aveva visto da vicino sul campo di battaglia, gridando “Sono del quadrato del ’49!”.
No, tutt’altro. Allora, erano gli anni ’70, abitavo nella meravigliosa via del Babuino, quando ancora c’erano gli antiquari ed era la strada più raffinata di Roma, quella che la streghetta bionda Laura Betti percorreva “zoccolando in su e in giù” con Pasolini o, più modestamente, con Claudio Villa, famoso però per il suo sesso di proporzioni gigantesche. C’erano ancora nell’aria i fantasmi di Elsa Morante ed Ennio Flaiano e il caffè lo prendevi al Bar Notegen magari accanto a Federico Fellini con la sua microscopica Giulietta Masina, oppure il regista Lattuada, o il pittore pazzo di piazza del Popolo Mario Martini, da cui imparavo le cose della vita in nottate che non finivano mai.
Insomma, camminavo spensierato quando una coppia di signori atletici e allegri mi viene incontro. Resto per un attimo perplesso, avendo riconosciuto in uno dei due quello che per noi giovani di sinistra era il nemico numero uno, insultato e vilipeso in mille cortei e manifestazioni di piazza: l’avvocato Agnelli, re indiscusso del Belpaese.
Provai per un attimo quello che deve aver provato lo studioso d’arte Bianchi Bandinelli, cui toccò, durante la visita di Hitler in Italia nel ’38, accompagnare il Fuhrer illustrando una ad una le incomparabili bellezze delle città d’arte italiane, visto che Mussolini proprio non ne aveva voglia e, a dire il vero, nemmeno le conosceva tanto bene. Bianchi Bandinelli, antifascista dichiarato, fu attraversato per tre giorni dall’idea folle di sfruttare quell’occasione irripetibile per far fuori i due dittatori in un colpo solo, cambiando per sempre il corso della Storia. Naturalmente non ne fece niente e tutto andò come sapete.
Io, al massimo, avrei potuto fare all’Avvocato una smorfia di disprezzo, o lanciargli un insulto da tifoso della Roma, eterna rivale della Juventus, ma lui mi fregò.
Quando fummo l’uno di fronte all’altro, il furbacchione giocò d’anticipo, rivolgendomi un festoso “Buongiorno!”, e lasciandomi di stucco, rigido come un baccalà appeso a seccare al sole di Roma, sconfitto dall’evidente superiorità della sua personalità carismatica.
Non mi restò che proseguire imbambolato per la mia strada, fermandomi appena un momento a consumare la mia patetica rivincita dal giornalaio Franco, e avviarmi, con“L’Unità” in tasca, in direzione di Piazza di Spagna.
Ennio Flaiano Gianni Agnelli Piazza del Popolo