La rivoluzione verde arrivò anche nell’azienda per cui lavorava.
Lei, mamma in carriera, era ormai abituata al grigiore mattutino delle macchinette marcatempo.
Accanto, abbandonato come un vascello in un mare di circolari e normative e volantini per la pizza in pausa pranzo, stava un vecchio tavolo con il numero d’inventario.
Quando la mattina lei arrivava, trafelata e in ritardo, carica di cappotto, borsa, cartella, chiavi, portafogli, cestino per il pranzo, avrebbe voluto trasformarsi seduta stante nella dea Kalì per poter estrarre il cartellino e iniziare la giornata.
Il tavolo impolverato le offriva una provvidenziale zattera di salvataggio nel mare di oggetti da appoggiare per scovare il proprio badge dal fondo dell’ultima tasca.
Così per anni, finché in azienda qualcuno decise che il benessere dei dipendenti avrebbe dovuto precedere ogni altra considerazione. Un’azienda più verde sarebbe stata anche un’azienda più felice.
Il vecchio tavolo polveroso fu così cassato in onore ai moderni principi del Feng-Shui: al suo posto si materializzò un vaso enorme contenente un fico d’india gigantesco.
Contro le spine del nuovo totem lei – carica di cappotto, sporta, cartella, chiavi, portafogli, naturalmente ora tutto sulle braccia – infrangeva puntualmente l’occhio sinistro, apprestandosi a timbrare in uscita e in entrata.
Segno dei tempi e del benessere aziendale.
Anche i proverbiali ferri da calza della statua in bronzo della madre del megadirettore Catellani, contro cui i novelli Fantozzi oggi vanno a infrangere gli occhi, sono rigorosamente bio.
Comodità Lavoro Rivoluzione verde