Flannery O’Connor e il Gotico del Sud

“La notte, quando non riusciva a dormire, la signora Turpin si chiedeva chi avrebbe voluto essere. Se, prima di crearla, Gesù le avesse detto: ‘Ci sono solo due posti disponibili per te. Vuoi essere una negra o una bianca povera?’ lei cos’avrebbe risposto? ‘Ti prego, Gesù, lasciami aspettare finché viene libero un altro posto’.” (dal racconto “Rivelazione” di Flannery O’Connor)

Lo sapevate che William Faulkner, Premio Nobel per la letteratura nel 1949, disse che avrebbe imbracciato le armi e combattuto a fianco dei razzisti bianchi del Mississippi contro la minaccia d’integrazione dei neri voluta dal governo federale? I suoi difensori sostennero che Faulkner era ubriaco quando si scagliava contro le marce di protesta per i diritti civili e per la fine della segregazione razziale. Faulkner era quasi sempre ubriaco. In vino veritas.

Flannery O’Connor era contemporanea di Faulkner, di 28 anni più giovane. Quest’anno ad agosto si contano sessant’anni dalla sua morte, l’anno prossimo si celebrerà il centenario della nascita. Flannery nacque il 25 marzo 1925, in un profondo e razzista angolo della Georgia, che negli anni ’50 fu classificata con “la percentuale più alta di linciaggi e altri omicidi”. La sua era una famiglia tradizionalista cattolica, sua madre Regina aveva pretese di superiorità razziale che Flannery trovava ripugnanti, non cristiane. Descrisse impietosamente la madre più volte nei suoi racconti come farisaica e bigotta (vedi la signora Turpin citata sopra, in “Rivelazione”).

Flannery cercò di evadere dal Sud: borsa di studio all’Università dell’Iowa, prolungate residenze a Yaddo, la comunità di artisti nello Stato di New York. Qui conobbe grandi scrittori, pubblicò i suoi primi racconti e si trasferì nella City. Mentre scriveva il primo romanzo (“La saggezza nel sangue”) si ammalò dello stesso male devastante di cui era morto suo padre dieci anni prima, il Lupus eritematoso. Ricoverata ad Atlanta, fu costretta dalle proprie condizioni invalidanti a tornare alla fattoria della madre, ad allevare pavoni, galline e maiali.

Intrappolata nell’entroterra asfittico della Georgia, con le stampelle, a 26 anni, Flannery sublimò la reclusione forzata attraverso la scrittura e la fede cattolica. I suoi racconti, realistici e satirici, non lasciano trasparire le convinzioni religiose, se non nei finali a sorpresa, in cui il bianco razzista, o il bianco progressista, subisce una rivelazione sgradevole sulla propria ipocrisia.

Il racconto “Omega” si svolge su un autobus. La segregazione razziale prevedeva che i neri sedessero in fondo, lasciando i posti davanti ai bianchi. In quel periodo erano iniziate le proteste, i boicottaggi degli autobus e il rifiuto di cedere il posto a sedere. Questi fatti non sono riferiti nel racconto, ma sottintesi. Il giovane Julian, appena laureato, accompagna la madre in autobus, e lei gli ricorda che la sua istruzione conta fino a un certo punto. Conta di più che “il tuo bisnonno aveva una piantagione con 200 schiavi”. Julian ribatte stizzoso che non ci sono più schiavi, e la madre: “I negri stavano meglio, quando erano schiavi”.

Julian immagina vari modi di dare una lezione alla madre: fare amicizia con un avvocato nero e portarlo a casa, ma a sua madre verrebbe un infarto. Allora Julian chiamerebbe un dottore nero, oppure parteciperebbe a uno sciopero “filo-integrazionista”. L’orrore supremo per sua madre sarebbe portare a casa una donna bellissima, “sospettosamente negroide”.

“Racconti acidamente comici, con messaggi morali”, li definisce Brad Gooch, il biografo di Flannery. Un detenuto evaso che si fa chiamare Misfit (disadattato) massacra con gusto una famiglia intera in Georgia (nel racconto “Un brav’uomo è difficile da trovare”). Anche i titoli scelti da Flannery sono comici. Una giovane storpia è sedotta da un venditore di Bibbie feticista che le ruba la sua gamba di legno (“Brava gente di campagna”). Una vedova, che si immagina superiore ai contadini che lavorano la sua terra, viene incornata da un toro (“Greenleaf”). Un ex-marinaio, per compiacere la moglie fanatica religiosa, si fa tatuare sulla schiena il volto di Cristo a grandezza naturale, e lei lo respinge gridando: “Idolatria!” (“La schiena di Parker”). Una vecchia dà in sposa la figlia sordomuta a un vagabondo con un braccio solo, che durante il viaggio di nozze abbandona la ragazza e ruba l’auto di lei (“La vita che salvi può esser la tua”).

Gene Kelly, in un film del 1957, interpretò il vagabondo che sposa la ragazza per rubarle l’auto, ma nella versione TV lui cambia idea e torna da lei. Il lieto fine era d’obbligo allora, ma era inconcepibile per Flannery. Lei sopportò l’alterazione del suo racconto e usò le royalties per comprare alla madre un frigorifero nuovo.

Nel primo romanzo “La saggezza nel sangue”, un fanatico si proclama profeta della “Chiesa senza Cristo, dove i ciechi non vedono, gli zoppi non camminano e i morti restano morti”, poi, per punirsi dei propri peccati, si acceca.  John Huston ne fece un film nel 1979, più fedele alle scomode verità di Flannery sul Sud. Nel suo secondo romanzo, “Il cielo è dei violenti”, un giovane figlio di predicatore affoga un cugino idiota mentre cerca di battezzarlo. Sulla strada di casa fa amicizia con un predatore sessuale che lo violenta. Flannery punisce i suoi personaggi come fa il nostro Dante nell’Inferno. Questi sono i “freak” che si incontrano nel Sud, dice Flannery, perché il Sud non è solo ossessionato dalla razza, è “ossessionato da Cristo”, perseguitato dal peccato, infestato da falsi profeti, falsi predicatori e veri assassini.

Il Sud è sempre stato un vivaio di fondamentalismo e fanatismo religioso. La “Bible Belt” (cintura della Bibbia) comprende gli Stati del Sud, conservatori evangelici e battisti, e parte del Midwest (il corridoio mormone). Il filosofo e storico francese Tocqueville nel 1835 osservò qui “uomini pieni di uno spiritualismo fanatico e selvaggio, una follia religiosa”. Follia causata da feroce frustrazione sessuale e sensi di colpa che portavano a commettere atti di una violenza sfrenata. I cartelli stradali tutt’intorno a Milledgeville, dove viveva Flannery, avvertivano i peccatori della dannazione eterna, esortandoli a pentirsi. Gli evangelici danno ancora spettacoli “revival” nei tendoni da circo in piena campagna, ma predicano più comodamente dagli studi televisivi, ammonendo: “Pentitevi o bruciate all’inferno!”

Quando Robert Giroux, l’editor dei libri di Flannery, andava a trovarla in Georgia, la madre Regina gli chiedeva: “Perché non convinci mia figlia a scrivere di persone per bene?” “Una sensibilità per il becero è il mio talento naturale”, rispondeva Flannery, che scrisse di avere “l’occhio più acuto per il grottesco, per il perverso, e per l’inaccettabile. Ai duri d’orecchi tu gridi, ai quasi-ciechi disegni figure grandi e allarmanti”.

Alcuni critici, dopo la recente pubblicazione delle lettere giovanili di Flannery O’Connor, si sono chiesti se fosse razzista e bigotta anche lei. Nel 1963, prima che fosse approvata la legge per i Diritti Civili (1964, l’anno in cui la scrittrice morì a 39 anni) Flannery scrisse in una lettera: “Sono molto contenta di quei cambiamenti nel Sud che sono in ritardo da tempo, tutto il quadro razziale”.

In una lettera al direttore di Yaddo, la comunità di artisti di New York, Flannery scrisse: “Ultimamente abbiamo dovuto subire alcune parate del Ku Klux Klan. È troppo caldo per bruciare una croce ardente, così ne portano una fatta di lampadine elettriche”. Con la stessa disposizione umoristica affrontava la sua malattia, senza autocommiserarsi. Prendeva dosi massicce di cortisone contro il Lupus che le attaccava le ossa e le giunture, le dava febbre alta e le faceva cadere i capelli. “Trovo la malattia più istruttiva di un viaggio in Europa”.

Elvis Presley, un ragazzo del Sud, era la star del momento, e Flannery lo considerava la prova che il grottesco non era solo un’invenzione degli scrittori del Sud, ma una realtà americana. Andò a vedere “Paese selvaggio”, un film del 1961 in cui Elvis interpretava un delinquente di campagna riabilitato. Flannery inserì un proprio ragazzo di campagna, zoppo e demoniaco, nel racconto “Gli storpi entreranno per primi” e gli fece cantare una canzone di Presley: “Shake, Rattle and Roll”. Per quanti sforzi faccia l’illuso progressista del racconto per riabilitarlo, il ragazzo malefico rifiuta la redenzione.

“Ho descritto il Sud come una letteratura del grottesco, la vita morale rivelata nelle cose banali e ordinarie”. “Mi irritano sempre le persone che considerano la narrativa come evasione dalla realtà. È un tuffo nella realtà”.

Flannery passò la sua ultima estate in ospedale e, tra una trasfusione e un’altra, correggeva le bozze dei suoi racconti. Scrive Joy Williams, grande autrice di racconti, che Flannery “lottava sempre per trovare l’immagine rivelatrice, la parola rivelatrice che avrebbe offerto il significato dell’esperienza vissuta”.

“Sono una cattolica singolarmente posseduta dalla coscienza moderna,” scrive Flannery, “quella cosa che Jung descrive come antistorica, solitaria e colpevole”. Nei pochi anni della sua vita scrisse 32 racconti e due romanzi. Pubblicati nel 1990 da Bompiani, sono ora disponibili presso Minimum Fax non solo i romanzi e i racconti, ma anche i saggi e le lettere irriverenti.

Nel 2023 Ethan Hawke ha realizzato un film sulla vita di Flannery, “Wildcat”, interpretata dalla figlia Maya, con Laura Linney (la madre) e Liam Neeson (il prete cattolico). Hawke presenterà l’anteprima italiana al Lucca Film Festival il 26 settembre 2024.

Bruce Springsteen ha dichiarato che lo scrittore che lo ha più influenzato è stata Flannery O’Connor e il suo senso del “Gotico”. Il Gotico americano, a differenza di quello europeo, si è nutrito dell’intolleranza e paranoia dei primi Puritani, che affrontarono l’“inferno” selvaggio del Nuovo Mondo. Edgar Allan Poe, Nathaniel Hawthorne (“La lettera scarlatta”) e Lovecraft hanno descritto gli incubi del peccato originale e i suoi mostri. Herman Melville ne parla in “Moby Dick”: “Anche se questo mondo visibile sembra formato dall’amore, le sfere invisibili furono formate nel terrore”.

Il Gotico del Sud si è sviluppato col declino economico prodotto dalla Guerra Civile. Suoi autori di punta, a detta dei critici: Faulkner, Eudora Welty, Truman Capote, Carson McCullers e Flannery O’Connor. I racconti di Flannery hanno sempre un incipit e un’ambientazione realistica, poi la storia ha una svolta bizzarra, violenta e sconvolgente. Lo stile di Flannery è privo di sentimentalismo, con forte uso del dialogo, senza psicologizzare i personaggi, di cui si fa beffe. L’ironia e l’umor nero sono per lei “un modo comico e divertente per arrivare alla verità”.

Joyce Carol Oates, nella sua antologia del Gotico americano, non ha incluso Flannery. Forse era fin troppo realistica per sembrarle gotica? Ho scritto all’immensa autrice di 57 romanzi e oltre 700 racconti (molti thriller e mysteries gotici), chiedendole il motivo dell’esclusione. Mi ha risposto subito, generosa come dev’esserlo stata con i suoi studenti a Princeton:

“O’Connor è essenzialmente satirica, ma realistica. Non ha racconti gotici nel senso in cui il “gotico” comprende il surreale, il soprannaturale, o l’ignoto. O’Connor era una devota cattolica, e ciò potrebbe voler dire che credeva letteralmente nel “Demonio”, ma lei non scrive mai di questo e non esplora mai le regioni più profonde dell’inconscio. I suoi personaggi tendono al caricaturale e le sue storie sono racconti di vendetta perfidamente divertenti”.

Per Flannery il Sud era così dannato che solo una grazia divina poteva redimerlo. Di questi tempi sono propensa a crederlo anch’io.

4 commenti su “Flannery O’Connor e il Gotico del Sud”

  1. “la vita morale rivelata nelle cose banali e ordinarie” è una verità assoluta, che sperimentiamo ogni giorno. Questo uno degli aspetti che mi ha più colpito di questo interessantissimo articolo di Patrizia Tenda, davvero preziosa. Leggo e imparo tantissimo. Grazie!

  2. Teresa Trivellin

    Un altro saggio di letteratura, approfondito e ricco di puntuali riflessioni che considero prezioso per me e per il mio lavoro. Una curiosità (un’associazione di idee non so quanto casuale, vista la citazione di Liam Neeson): mentre leggevo ho pensato a quanto “flanneriano” fosse lo splendido The Ballad of Buster Scruggs (Coen, 2018) nell’episodio (il film è composto di sei storie) con l’attore poche righe dopo citato. Grazie Patrizia.

    N.B consiglio la visione a chi non l’abbia visto.

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