La sala d’aspetto le sembrava più grande del solito. immensa. si rifugiò nell’angolo di fronte alla finestra. il suo angolo. gli altri pazienti lo sapevano e il martedì nessuno osava occupare con borse, ombrelli e cose il suo spazio. piccolo, nascosto dietro il ficus, protetto dallo scaffale pieno di libri. perfetto. ci stava solo accovacciata con le ginocchia tra le braccia. ma le bastava e avanzava.
la sala d’aspetto gli sembrava più piccola del solito. minuscola. guadagnò velocemente la finestra e si affacciò. gli altri pazienti lo sapevano e il martedì nessuno osava prendere il suo posto. del resto se lo era guadagnato. ormai erano tre anni che la apriva e la chiudeva. troppi. secondo i suoi calcoli avrebbe dovuto riuscire a entrare in un ascensore, mica di quelli piccoli, ma almeno quelli tipo montacarichi.
il loro amore cresceva nell’attesa di una stanza, troppo grande per lei, troppo piccola per lui. ma i loro occhi si incontravano, a metà strada di uno spazio infinito. e in quello spazio la paura si annullava. mai avrebbero mancato a un appuntamento, gestito per loro inconsapevolmente. paure che li allontanavano dal mondo. paure che li univano in un abbraccio senza pelle. paure che cercavano di fuggire. paure che, ora era chiaro, non avrebbero abbandonato mai.