Fragili gusci

Credo di amarti mentre ti aggiri tra gli scaffali, mentre sali con la scala mobile e intanto tamburelli con le dita lungo il bordo.
Sei molto alto, le mani troppo grandi, hai un’eleganza timida e sguardi da folletto.
Ti dedico occhiate fino a quando posso, parlo con un cliente e mi distraggo, finché sei nei paraggi sto in tensione.
La prima volta che ti ho visto ero alla cassa, battevo uno scontrino, e tu eri lì, davanti all’esposizione delle scarpe.
Guardavi quelle scarpe come si guarda un quadro, hai scelto un mocassino, l’hai accarezzato con gli occhi, prima che con le mani. Poi te lo sei cacciato nella giacca e ti sei allontanato senza fretta.
Sono rimasta sbalordita dalla tua scaltrezza e dall’assurdità del gesto. Un mocassino solo, numero 38.
Quella follia l’ho presa come un segno che riaccendeva una giornata come tante. Ho resistito all’impulso di seguirti, non mi è neppure passato per la mente di avvertire Carlos, il vigilante.
Sei ritornato circa un mese dopo, portandoti dietro quell’aria un po’ svagata.
Stavolta non avevo clienti da servire e ti ho seguito al reparto casalinghi. Ho trattenuto il fiato mentre facevi sparire una tazzina, non ho battuto ciglio quando ti sei intascato un posacenere e una candela gialla.
Sei sceso al pianoterra e hai attraversato l’atrio come se niente fosse, passando proprio di fianco a Carlos. Io raggelata, col cuore che mi batteva forte. Senza dubbio un cleptomane, un ladro squilibrato…
Eppure quel tuo sottrarre oggetti con classe d’altri tempi mi seduceva, invece di respingermi. La notte ti ho sognato che camminavi in bilico su un filo, facendo il giocoliere con la merce in saldo.
Da allora sei ritornato cinque volte.
Un pomeriggio ti ho salvato da Carlos appena in tempo, gli sono andata incontro e l’ho distratto mentre ti infilavi un fazzoletto in tasca, l’ho frastornato di parole finché non sei sparito.
Un’altra volta ho finto un’uscita verso la farmacia e ti ho pedinato. Hai camminato guardando le vetrine e quando un mendicante ti ha chiesto l’elemosina ti sei svuotato le tasche, posandogli nel cappello tre matite e un guanto. Sono tornata indietro con la meraviglia nella testa, pazza di te, delle tue gambe lunghe.
Oggi sei ritornato, finalmente. Completo nero a righe e in più quell’aria ironica, che prometteva un’allegria pericolosa.
Non ho potuto seguirti, ero in ginocchio ad accorciare l’orlo di un vestito. Quando ho finito mi sono affacciata al parapetto, ho controllato scale mobili e ascensori, di te nessuna traccia. Sono tornata dietro il banco a testa bassa. Ho aperto il mio cassetto per riporre gli spilli e il ditale, un fazzoletto ripiegato mi ha dato il benvenuto. L’ho aperto con cautela, conteneva una catenina con una perla bianca. E poi un pezzo di carta con sopra una scrittura spensierata. –Per te e per i tuoi sguardi. Appena ho completato la parure ti porto fuori a cena
Ho stretto quel foglietto tra le mani. Il sangue ha cominciato a circolare troppo in fretta, la gioia si è mescolata alla sorpresa.
Rischio il lavoro, forse anche l’arresto per averti sempre agevolato.
Ma se andrà tutto bene ci daremo appuntamento sulla giostra della piazza. Io arriverò candida di perle, tu sarai sul cavallo, l’aria malandrina, le tasche piene di oggetti senza senso.

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