Galeazzo Bentivoglio In arte Benti

E’ l’unico bel ricordo della mia infanzia. Fu per qualche, felice anno, compagno di mia madre. Era buono, affettuoso, spiritoso, accogliente, un po’ un generoso fratello maggiore, un po’ il padre che mi mancava. In realtà, era anche un uomo molto bello, e uno straordinario attore brillante, ma io da piccola non me ne rendevo conto. Gli volevo bene, era parte della mia vita, mi voleva bene, e tanto mi bastava. Quando, ero già 14enne, credo, mia madre lo lasciò, non so neanche per chi, venne in camera mia a salutarmi, in lacrime. Piangemmo insieme abbracciati. Poi partì per il Venezuela, dove dopo qualche anno trovò un vero grande amore, Marcella, donna unica e speciale, che sposò e con cui mise su famiglia.
Ma non era di quello che ho scritto qui sopra che vi volevo parlare. Ma di un immenso errore che feci parecchi anni dopo la sua partenza, e non moltissimi dopo il suicidio di mia madre, Adriana la bella: Galeazzo era tornato a vivere in Italia, a Roma, dove mio marito un giorno lo incontrò. Parlarono di me e di mia madre. Lui voleva vedermi, riincontrarmi. Io non volli. Mi ricordavo che una volta ero stata, di nascosto, a vedere un suo spettacolo a Milano, con una amica. Non ero poi andata a salutarlo in camerino. All’uscita, stretta in mezzo alla folla di spettatori felici che ridevano ancora, io piangevo ininterrottamente, singhiozzando, quasi ululando. Troppo amore, troppi ricordi, troppo dolore – senza controllo alcuno. Che vergogna. E allora dissi di no, che non sarei scesa a Roma per incontrare Galeazzo. Avevo paura che gli sarei saltata in braccio come una bambina, che sarei scoppiata in un pianto torrenziale, che sarei caduta per terra, e mi sarei rotolata mugolando, come un cane che racconta col tutto il corpo la sua tristezza. Non avrei potuto parlargli della fine di Adriana. Non avrei potuto raccontargli cosa mi aveva fatto mia madre.
Anni dopo, dopo la sua morte – ed ero già tutta pentita del mio vile rifiuto – ho conosciuto la sua meravigliosa moglie, che mi ha subito accolta a braccia aperte. Mi conosceva benissimo – perché il suo amatissimo marito aveva sempre tenuto sul comodino una foto di me bambina con mia madre. Io e Adriana eravamo state una parte amata della loro vita insieme. E così capii quanto ero stata stupida in quel rifiuto. Non avevo avuto fiducia né in me, né in lui – né nella vita. Non ero stata capace di sentire che un così grande affetto è per sempre, e supera decenni, e oceani, e suicidi – è più grande dell’orrore che avevo attraversato.
Dovesse capitare una occasione simile, o perlomeno affine anche a voi, non dite di no. Mai. L’amore non se lo merita, le lacrime non sono vergogna.
Galeazzo era il rampollo artista di una nobilissima e antichissima famiglia bolognese, che, inorridita dal suo sbocco nel cinema e nella rivista, gli aveva imposto, per vie legali, di cambiare cognome. Nacque così, dall’ira del nonno, un elegante nome d’arte: Galeazzo Benti. Che fu portato con eleganza, leggerezza, simpatia, intelligenza, umanità, spirito e somma signorilità per tutta la sua carriera.

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