E prima a gridare “Al bug! Al bug”, spaventati Pierini del Duemila. E adesso tutti esperti di Maya (no, non l’ape), a lustrare amuleti – con un certo non so che di sadico – nell’attesa di un’imminente, sublime fine del mondo. Ma chi ha aperto le gabbie? Catastrofisti sbavanti che spuntano ovunque come funghi! E se poi, putacaso, il B’ak’tun-day si traducesse in null’altro che una misera botta di rinnovata spiritualità per il genere umano? Chi salverebbe Vespa dall’auto-reclusione in un plastico in scala 1:1? D’accordo, si chiude un ciclo. Centoquarantaquattromila giorni, mica cavoli (già, i Maya possedevano calendari da parete lunghissimi, all’epoca; ché mica avevano uno Sting qualunque appollaiato sul solito albero amazzonico da salvare, loro). Embe’? Respiro a fondo. Primo: ho superato quasi indenne il Natale. Ripeto: quasi. Il tour de force prima-dai-miei-poi-dai-tuoi dovrebbe rientrare, per legge, nel novero delle armi letali. Ma che ve lo dico a fare? È toccata anche a voi la sciarpa – orribilmente a quadretti – di nonno Gigi o la stella cometa fatta all’uncinetto da zia Elvira, giusto? Secondo: il 21 dicembre è lontano. E, in fin dei conti, chi se ne frega dei Maya, che sono-tutti-morti? (Tiè!). Terzo: detesto le paillettes, i panettoni riciclati della vigilia farciti a suon di mascarpone, i veglioni a trecento euro, gli ignobili trenini danzanti tra sconosciuti alticci, l’abbinata tacco dodici-abitino scollato argento-Rockets a -4° (possibilmente con la neve alta-così-scì-scì). Quarto: mia madre, per una vita intera, ogni mezzanotte di San Silvestro ha stappato una bottiglia di spumante da due soldi e, tutta denti e crediti, ha festeggiato con un glorioso «Fanculo l’anno vecchio! Il prossimo sarà quello buono, che peggio di così non può andare!». Con le bollicine, ma pur sempre uno stillicidio. Comprerò un Moet & Chandon su eBay. Ce lo berremo a casa. Accenderemo le stelline, quelle che non esplodono e non mozzano mani a casaccio. Saluteremo il 2011 con rassegnata dolcezza. E altro che “Brazil”! La cagna al riparo dai botti, e il vischio appeso in cucina, lasceremo che il piccolo canti ancora e ancora, fuori tempo massimo, un radioso, noiosissimo “Gingombè, gingombè, gingooddeuè”.