Mi chiamano per aggiustare cerniere, sistemare binari per le ante scorrevoli, montare specchi, spostare mensole, aggiungere moduli, svitare, avvitare, smontare, rimontare. Io vado e, inevitabilmente, osservo, annuso, ispeziono, soppeso. Insomma, giudico gli armadi degli altri.
Ci sono armadi ordinatissimi. I vestiti separati, non soltanto secondo le stagioni, ma pure in ragione della necessità: lavoro, tempo libero, matrimonio, funerale. E anche in base al colore: i grigi, i blu, i marroni. E per ogni colore, per ognuna delle quattro stagioni e per ciascuna singola necessità, un profumo. La lavanda per gli abiti delle sere d’estate verdi, gialli o arancio. Il mughetto per i tailleur blu di fresco in lana, il ciclamino per i palto’ e così via.
Immagino le vite di chi li indossa. Ogni cosa al suo posto. Ogni sentimento con la sua etichetta e la data di scadenza. Ogni paura la sua giustificazione, ogni parola, ogni frase, il suo tempo, il suo modo, la sua verità. Tutto sotto controllo. Niente sfugge. Nessun evento può cogliergli impreparati. Eppure i padroni di questi armadi non si rendono conto che a sfuggirgli è proprio la folle bellezza della vita.
Vado in casa di proprietari di armadi disordinati. Mi accolgono con un sorriso. Sono ancora in pigiama. Ci scusi ci eravamo dimenticati. Lo vuole un caffè? Perché io possa lavorare spostano mucchi di abiti sul letto. Mentre aggiusto li sento dire: guarda la maglietta che credevo persa, ma questi jeans di chi sono, oh ti ricordi questo peluche, me lo comprasti a Ancona. Stupore, sorpresa, ricordi che, nell’emergere dal caos, si mostrano nella loro gioiosa purezza.
Ecco, io che ho studiato poco e che di mestiere avvito e svito, smonto e rimonto, una cosa però posso dirvela: la vita, quella vera, quella con inattesi momenti di felicità e, purtroppo, anche con imprevisti dolori, è un grande armadio disordinato.