Dove, nel corpo del poeta, si trova la Poesia? Nelle pieghe del naso per Giorgio Caproni. Nella nuca per Antonia Pozzi. Nella bocca per Giovanni Raboni. Ma se guardo Vittorio Sereni – una foto, un filmato – dico negli occhi. La sua è poesia dello sguardo, fragile, ritagliata nella carta moschicida dei pensieri. Sguardo d’acqua. Ciò che Sereni osserva e riflette, nei suoi occhi opachi, è il lago. Il Lago Maggiore, ma dalla sponda magra, quella lombarda, lontana dai gioielli delle isole, dalle località turistiche lungo la strada che scende dal Sempione. Sponda di barche arenate e sole al tramonto. Sguardo di occhi strizzati, chiusi su un orizzonte che nasconde miraggi di futuro e passato. Luino, la città dove nacque cent’anni fa, e il lago, non sono nella poesia di Sereni la Luino e il lago reali. Sono luoghi dell’immaginazione, città invisibili, “tu” dentro cui si incollano le lancette divergenti del tempo, destinate a congiungersi entro quel raggio di torpediniera/ che ci scruta poi si gira e se ne va. Negli occhi di Sereni la poesia si misura come un inesorabile combattimento con la morte già certa, dentro il torpore di un’estate impaziente, una lunga furente estate, solcata solo da un brivido sottile. L’estate in cui improvvisa ci coglie la sera e più non sai dove il lago finisca. Il lago che non è più lago, ma un attonito specchio di me.
Vittorio Sereni – Luino, 27 luglio 1913 – Milano, 10 febbraio 1983