GLI UNDICI TOCCHI DI MARADONA

Con il primo tocco prende il pallone di spalle. Una piroetta da clown e si libera di Butcher e Reid.
Il secondo tocco: comincia a correre inseguito da tre inglesi. Lui è più veloce. Scappa come quando da bambino rubava le mele per mangiare.
Il terzo tocco è una finta di corpo che manda a vuoto Butcher e i generali che lo volevano come simbolo del regime.
Il quarto tocco è uno scatto come quello che pochi minuti prima l’aveva trasformato nella Mano de Dios.
Il quinto tocco serve per guardare l’area avversaria. Gli inglesi sono forti, hanno la Regina e tanti soldi.
Il sesto tocco è per dribblare il disperato Fenwich. Si porta dietro mezza squadra inglese e un solo compagno, Valdano, in attesa del pallone.
Il settimo tocco è una finta per Valdano, l’occhiolino di scuse di chi sa che la strada lo porta da un’altra parte.
Con l’ottavo tocco scarta Shilton in uscita. Il portiere cerca di coprire lo specchio della porta e le malefatte inglesi alle Isole Malvinas.
Il nono tocco trafigge il mastino Butcher proteso in un ultimo tentativo di scivolata.
Il decimo tocco è la sicurezza di non sbagliare, proteggendo il pallone col corpo.
L’ultimo tocco è per calciare in porta. Per segnare il gol più bello della storia del calcio.
Sessantadue metri di campo. Nove minuti dall’inizio del secondo tempo di Argentina – Inghilterra, quarti di finale del Mondiale di calcio ’86.
Il signor Diego Armando Maradona scivola sull’erba consapevole di un gesto epico.
L’affanno si mischia all’urlo di un popolo in festa. Per un singolo attimo la guerra è lontana, i desaparecidos non sono mai scomparsi, la povertà non esiste e il genio del calcio non si è ancora perduto.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto