Sono molti di più di quanto si pensi i registi che hanno fatto un remake di un loro film, spesso perché la prima versione è stata realizzata a basso costo o perché girata in bianco e nero o perché conteneva immagini censurate e poi rese esplicite. All’inizio la scelta del regista cileno Sébastian Lelio di rimettere in scena un grandissimo successo come Gloria (del 2013, già recensito su La Rivista Intelligente), lascia perplessi. La storia è la stessa: una cinquantenne divorziata da anni, con due figli adulti che non rispondono al telefono, un vicino isterico che la tiene sveglia tutta notte; che ama cantare e ballare e che incontra un uomo maturo, Arnold, di cui s’innamora. Lelio trasloca però la vicenda dal Cile moderno del dopo Pinochet all’America di Trump e del #MeToo, mentre la strepitosa Paulina Garcia, la bruttina stagionata protagonista nel film precedente, è oggi interpretata da Julianne Moore, che regala a Gloria una bellezza morbida e piena, solo un po’ appannata dall’età. Ma tu ridi sempre? – le chiede Arnold, mentre ballano a bordo pista, non sempre – gli risponde lei, che, a dispetto dell’aria disinibita e della risata squillante, ha nello sguardo un riflesso di tristezza. Ed è proprio questa la sfida che il regista cileno fa a se stesso, raccontare la stessa identica storia mutuata però da un’altra donna e in un contesto diverso. Da sempre attento alle tematiche femminili (la transgender di Una donna fantastica, le due amanti di Disobedience), Lelio ridipinge il ruolo di Gloria, esaltando al massimo le capacità artistiche della Moore e confina gli interpreti maschili, l’ex marito e Arnold (interpretato da John Turturro), in ruoli di meschini e pavidi individui. E alla fine, come nell’altro, c’è solo Gloria, che balla da sola sul refrain della omonima canzone di Umberto Tozzi Di nuovo in gioco e pronta a ripartire.
Gloria Bell di Sébastian Lelio – USA 2018
(Costanza Firrao)