- Ottobre. E’ sera. Dopo una lunga giornata di lavoro, ha appena fatto una mega spesa alla Coop del terminal traghetti. Quando va per caricare il bagagliaio con gli acquisti, si sente apostrofare: “Signora, lascia carrello?”. Infastidita, snocciolerebbe tra sé e sé tutto il repertorio dell’esasperazione (“Ecco il solito accattone, non ti lasciano mai in pace, un euro da me, un euro da un altro ed ecco la giornata fatta! Ma che razza di genitori che mandano ad elemosinare i loro figli ecc.ecc.”) ma se lo impedisce: anche il suo inconscio è addestrato alla political correctness. Neanche si volta, impacciata com’è sotto la pioggia battente, e sbraita un “Almeno aspetta che carichi la macchina”. Non sente risposta, ma una manina le porge il pacco del detersivo. Si gira e vede un bimbo dell’età del suo, nove o dieci anni, vestito come in estate e magro come un chiodo, bagnato come un pulcino, coi cenci appiccicati alle costole. In silenzio, continua a porgerle la montagna di superfluo che ha comprato. Carica le merendine d’ordinanza e i giornalini per suo figlio, i prodotti dietetici, i formaggi d.o.p., i salumi d.o.c., le offerte speciali, gli sprechi normali, che rapido il bambino le passa. Non un sorriso, mentre fissa qualcosa di invisibile e lontano, sempre in silenzio. La signora mette la mano in tasca e, tirando fuori un biglietto da venti euro, biascica un “Sei stato proprio gentile, grazie”. La tentazione di carezzare quel visino sporco è grande, ma, afferrati in fretta soldi e carrello, il bambino la fissa per un breve momento, poi va via sussurrando un “Grazie a te”. Lei vorrebbe rincorrerlo, dargli tutti quei pasticci da obesi suicidi che ha acquistato, svuotare il suo portafogli, parlargli, chiamare il telefono azzurro, portarlo via con sé, scaldarlo con una vita diversa, con un abbraccio. Invece sale in macchina e non fa nulla. Nulla. Si è sgravata la coscienza con venti euro. E per giorni quel bambino rimane con lei, nella sua mente, e non vuole andare via e continua a fissarla e a dirle: “Grazie a te”.
- Natale. Naturalmente, andando spesso alla Coop, ha avuto modo di rivederlo molte volte. Sa che è stato “adottato” dai negozianti della galleria della Coop e il cibo dei vari fast food non gli manca. E poi non sono poche le signore intenerite che gli lasciano ben più della monetina del carrello. Lei è tra queste. Gli son stati donati vestiti caldi (per qualche tempo ha anche sfoggiato un bel giubbotto del Genoa) e scarpe robuste. Già poche settimane dopo il loro primo incontro, ha cominciato prima a rispondere alle sue parole, poi a guardarla negli occhi e poi persino a sorridere! Quando la vede chiede sempre “Lascia carrello?”, non più intimidito, ma con gli occhi che si illuminano. Non vuole che lei metta in macchina le sporte più pesanti e l’aiuta a sistemare i pacchi, mentre si scambiano parole e sorrisi. E’ diventato tifoso genoano e si è fatto spiegare il significato degli adesivi che sono sulla macchina della signora. Stasera ha voglia di confidarsi. “Volevo dirtelo: vado Romania, torna poi”. “Oh, vai a trovare i tuoi parenti?” chiede lei “Sì” “Ma la mamma e il papà sono qui in Italia?” “No. Io vado vedere mamma” “Ti manca” “Sì” (silenzio) “Tanto” (silenzio) “Sempre solo” (silenzio). Lei non sa che dire e fare. Parole inutili non vengono sprecate mentre continuano a caricare la macchina. “Ciao, torno”, le promette mentre si avvia. “Fai il bravo”, risponde lei, e lo vede saltellare contento, farle ciao con la manina, mentre usa il carrello come un monopattino e lo rimette a posto.
- Lo rivede dopo circa tre anni. E’ molto cresciuto. E’ un uomo. Non può avere più di dodici, tredici anni, ma è un adulto. Ha occhi sfuggenti. Non sorride più. “Lascia carrello”, le dice, con voce dura, senza alzare lo sguardo. “Aspetta, scarico e…” …te lo do, vorrebbe dirgli, e chiedergli come sta, quando è tornato, ma lui non le lascia il tempo, scrolla la testa e va incontro a un’altra signora col carrello. Ottenutolo, si allontana veloce, le spalle contratte. Deposita il carrello, intasca l’euro e si mette a confabulare con un tizio che, se Lombroso non era un idiota, non ha esattamente l’aspetto di un galantuomo. I due vanno dietro il magazzino. Non ricompaiono più. Lei si dilunga nel caricare i pacchi, indugia prima di mettere in moto, ma niente: il ragazzo e l’altra persona non tornano. A casa, osserva suo figlio chiacchierare allegro, lo ascolta raccontare di sé e del suo piccolo mondo di molte luci e poche ombre. Lo accarezza col suo sguardo intenerito ma, nello stesso tempo, si chiede se lei, frustrata ed inetta blateratrice di princìpi e ideali, avrebbe potuto cambiare il destino di quell’altro bambino, se – invece di risalire ogni volta in macchina – lo avesse portato con sé, dando, per una volta – dannazione! – retta al suo cuore invece che alla stolida, indifferente rassegnazione che guida la sua vita.
- Lei non lo sa ancora, ma quella è stata l’ultima volta che lo ha visto.
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