di Costanza Firrao
Ambientato nei primi anni 60 in un’America razzista e insofferente alla scalata sociale dei “niggers”, Green Book (una guida per strade, bar e motel riservati ai cittadini di colore) è un movie on the road, in cui si scontrano e s’incontrano due mondi diversi. Quello di Tony, italoamericano grezzo e manesco che fa il buttafuori in un locale e quello di Donald, raffinato e colto musicista di pelle nera. Tony, perennemente squattrinato con moglie e figli da mantenere, accetta suo malgrado di fare da autista a Don, per accompagnarlo nella tournée musicale che lo porterà da New York agli Stati del Sud, dall’Iowa al Mississipi. La macchina fila attraverso paesaggi sconfinati, deserti e tramonti da cartolina. All’inizio l’incomprensione tra i due è totale: l’uno parla, bestemmia, mangia con le mani pezzi di pollo fritto e unto, fuma come un turco; l’altro siede dietro composto con la sua copertina sulle gambe e cerca di arginare l’esuberanza volgare dell’autista. Ma, nel corso delle numerose avventure che li coinvolgono, qualcosa cambia tra e dentro di loro. Io sono più nero di te – dice Tony – sono vissuto nel Bronx, sono povero e ignorante. Io non so cosa sono – gli risponde Don – se abbastanza nero, se abbastanza bianco, se abbastanza uomo. Con una musica travolgente, tra riadattamenti di pezzi classici e sound popolare, il percorso comune arriva a compimento regalando a ciascuno dei due qualcosa dell’altro. Viggo Mortensen, ingrassato di 20 kg, sta alla perfezione nei panni di Tony; lo splendido Mahershala Ali è Don, alto, elegante, bello come un dio. Si ride e si sorride tanto, ma nulla è scontato o banale, perché tutto il film – 5 candidature all’Oscar – è autentico e vale più di mille proclami nella denuncia della brutta svolta che sta prendendo il mondo.
di Giuliana Maldini
Se volete uscire dal cinema soddisfatti e di buon umore andate a vedere “Green book”. E’ una commedia intelligente che fa riflettere e sorridere (ma perché in Italia non si riesce a fare qualcosa di simile?). La vicenda (tratta da una storia vera) si svolge on the road nell’America razzista degli anni sessanta, quella del “Ku Klus Klan” in cui bianchi e neri non potevano mangiare allo stesso tavolo. In due mesi forzati di convivenza due individui che provengono da mondi opposti si conoscono e poco per volta si piacciono e diventano amici: il buttafuori italoamericano Tony Vallelonga e il colto musicista nero dottor Donald Shirley. La formula, spesso vincente, dell’incontro tra due diversi personaggi non è nuova, come in “A spasso con Daisy” o in “Quasi amici” e qui, all’inizio, parrebbe tutto difficile, i due uomini sembrano non capirsi. Tony guida spavaldamente in mezzo a paesaggi che cambiano, tra boschi e nuove città, sputacchiando, scherzando, abbuffandosi di pollo e panini e, con modi rozzi ma estroversi tenta di sintonizzarsi con l’altro che invece, silenzioso e bacchettone, quasi un alieno, ha un atteggiamento sprezzante e pregiudiziale. Poi a poco a poco tutto si ammorbidisce, nasce la reciproca empatia e pure noi ci lasciamo coinvolgere sempre di più. “Green book” è candidato a 5 premi oscar e Viggo Mortensen ha superato se stesso perché è bravissimo in questo ruolo così lontano da tutti gli altri che ha interpretato. E’ persino riuscito a parlare con un improbabile buffo accento italoamericano (il film è infatti più godibile proprio in edizione originale con i sottotitoli). Unica nota assolutamente personale e negativa: per essere più credibile Viggo ha accettato d’ingrassare 20 chili! Non si poteva guardare così panciuto e sformato. Speriamo di rivederlo presto, magro e aitante come in“La promessa dell’assassino” dove combatte nudo nella doccia, più sexy che mai. Il valore del film sta proprio nella lievità del racconto, e richiama alla mente una frase dello scrittore austriaco Hugo Von Hofmannsthal: “La profondità va nascosta in superficie”.