C’è un film splendido da poco nelle sale; tanto bello quanto doloroso. Il coinvolgimento dello spettatore è tale da radicarsi nel suo animo per giorni.
Si tratta di Land of Mine – Sotto la sabbia, una coproduzione danese e tedesca, che racconta una pagina nera nella storia recente della Danimarca, un fatto vero accaduto nel 1945 alla fine del conflitto mondiale.
L’esercito tedesco aveva minato le coste dello Jutland ─ si parla di circa due milioni di mine ─ sbagliando la previsione sul luogo dello sbarco degli alleati. A guerra finita, era necessario per i danesi bonificare le grandi spiagge e rendere sicuro il territorio. Per fare questo sporco lavoro vennero utilizzati i soldati tedeschi prigionieri (in contrasto con la Convenzione di Ginevra).
Al sergente Rasmussen, duro e implacabile, sono affidati 14 ragazzi, prigionieri giovanissimi, gli ultimi coscritti, che dopo un breve addestramento vengono dislocati in una baracca vicino alla spiaggia da liberare da 45.000 mine in tre mesi. Scarso il cibo, durissime le condizioni di lavoro, altissimo il pericolo.
I ragazzi sono rigorosi e ubbidienti, spaventati sognano il ritorno a casa, non sanno nemmeno bene come siano finiti in quelle condizioni. Il rapporto tra loro e il sergente non è idilliaco; Rasmussen pretende una disciplina ferrea, ma è onesto ed è consapevole di avere a che fare con una squadra di poco più che bambini. Fra loro c’è chi si rivela leader naturale, chi non regge, chi sogna, chi muore, ma col tempo Rasmussen trova il modo per motivarli, nella speranza che sopravvivano e che si trovi una mediazione sul loro destino.
Tuttavia, alla fine di una guerra c’è spazio solo per la bieca logica della vendetta rancorosa, ai limiti del sadismo, che può trasformare il vincitore in una bestia come quella che ha sconfitto.
La guerra non permette umanità, chiede l’umiliazione dei vinti, anche quando non è necessario.
Girato in una unica ambientazione, la spiaggia dove i ragazzi strisciano per mesi rischiando minuto per minuto la loro vita, interpretato magistralmente sia dai giovanissimi attori tedeschi che dall’ufficiale danese, il film non lascia spazio alla retorica, al contrario combina un realismo spietato con la cornice delle dune degradanti nel mare e mosse dal vento. Le immagini della natura aspra, fatta di sabbia, vento e mare, si alternano ai numerosi intensi primi piani dei protagonisti e alle scene più cruente.
Lo scenario è scandito dal ritmo della paura e della sofferenza, e la tensione non molla fino all’ultimo fotogramma, quando gli spettatori non riescono ad abbandonare la poltrona per la commozione, l’incredulità, l’empatia. La pietà.
Land of mine – Danimarca- Germania 2015, regia di Martin Zandvliet, con Roland Møller, Louis Hofmann, Joel Basman, Emil Belton