Passeggiate immaginarie e Istanbul
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È l’ora della mia passeggiata giornaliera
in nessun luogo – attorno al poggiapiedi
e al salotto. Søren Kierkegaarde mio padre facevano giri immaginari
dentro guardando fuori, senza
bisogno di viaggiare. A Istanbulnon ci sono mai stata – ma sono piena
di moschee e traghetti, croci e crociate,
un viaggio che è pura finzione.Ho bevuto sharbat gelato e limonata
nelle ville del Bosforo: luoghi della mente.
Le foto non scattate non sbiadiranno maidato che sono irreali. Voglio un derviscio
con il collo spezzato, che giri come un radar.
Gwyneth Lewis scrive poesie che parrebbero lievi come uccelli, capaci di volar via dalla pagina con ali composte di parole, pagina dopo pagina sembra s’involino verso un albero, verso una migrazione. La bellezza delle sue poesie sta nel loro volare e sedimentare allo stesso tempo, in modo che leggerle invogli a rileggerle e le immagini si sedimentano a poco a poco. Gli uccelli, di varie e strane specie, si rincorrono tra i versi, il loro verso dice qualcosa che la mente traduce in parole, “Venerdì, un passero strillava: / «Io, io!» / Difficile da sopportare”. In Lewis anche le parole sono mobili come volatili, volano, tornano, si perdono nella mente che le crea – “Credo che un cuculo abbia deposto / Un uovo nella mia testa.” – e poi all’improvviso compaiono per riprendere il loro librarsi – “Le parole sono migrate, / E ho scordato il richiamo.” – fino a richiamarle usando l’inventiva. I luoghi della mente di questa poetessa gallese sono affollati di uccelli, persone care che fanno capolino e posti immaginari, una collezione di fotografie non scattate che per questo “non sbiadiranno mai”. “Un giorno di miseria” è il giorno senza parole che “strazia il cuore”, l’immaginazione e il continuo lavoro agli orli della parola salva creando pensieri in azione, un paziente e ritmato lavorare la poesia come se fosse una maglia lavorata a ferri: “Tutto ha inizio con un nodo singolo / Ai ferri. Parola e penna. Stringi un giro / Nel nulla. Vai avanti, ripeti […]”.