In principio era il selfie, che è come l’autoscatto, ma se dici selfie fa più figo e lo puoi condividere su Twitter, su Facebook e su Instagram. Le frontiere del selfie erano vaste, c’era chi se lo faceva con gli amici, chi dopo aver scopato, chi chiuso dentro un frigorifero. Poi è arrivato il bikini bridge: fianchi scheletrici che sottendono elastici di slip sopra le valli edeniche di pance piatte, lisce e abbronzate. E sotto quell’elastico: ombre di desiderio, insellature pubiche, monti di venere, miraggi da canicola. Ma ogni selfie – è il suo destino – ha vita breve. Irrompe il belfie. I social network si riempiono di callipige sirenette. Piovono culi: sexy, moderni e pratici – come ebbe a dire la divina Carlà – giovani e d’antan, forse, qualcuno, anche un po’ D’Artagnan, non perché triplo, ma perché sfrontato, guascone, combattivo. Non manca quello colto, il belfie Adelphi.
È il canto del cigno del cellulare alla mano. Arriva il dronie, l’autoscatto con uso di drone: una via di mezzo fra “Operazione Desert Storm” e “Harry ti presento Selfie”. Tra un po’ il selfie ce lo scatterà direttamente Google Earth. L’omino giallo farà ciao con la manina, sempre sperando che non faccia le corna.
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