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Hilde Domin e l’orlo della parola

EMISFERO SINISTRO

 

In questa piccola semisfera
sulla quale i miei capelli diventano grigi
abitano le parole
questo nido di parole

 

La mia mano
prende il nido in mano

 

Il destro si dice
è vuoto di parole

 

Uno spazio per il vocabolario
inutilizzato
del ricordo

 

“Emisfero sinistro” di Hilde Domin letta da Anna Toscano

 

Nella sua poesia Hilde Domin costruisce un compendio alla realtà tramite l’affermazione della parola. Per Domin la lirica ha una funzione primaria nella realtà in quanto attraverso i versi poesia e realtà hanno un significato. La sua idea di necessità assoluta di poesia è riscontrabile testo dopo testo, verso dopo verso, in cui cerca costantemente di spiegare la complessità del reale. La parola per Domin è scelta, una scelta costante e insaziabile per perimetrare l’oggetto, definire la cosa, dare un volto al reale, costruire un mondo di parola libera, autentica, libera da vincoli, mode, dettami, necessità di bellezza. Quella parola, come in questa lirica, che vive e abita l’emisfero sinistro, che sta in un nido accudito e vigilato, curata e sfamata e preziosamente tenuta in una mano e contemplata, quasi a supplire l’altro emisfero, il destro, che non si occupa del linguaggio. Quasi a trovare inutile ciò che non abbia a che fare col linguaggio, in cui si può sempre però riporre, come in uno sgabuzzino, un vocabolario “inutilizzato / del ricordo”. C’è uno spazio, uno iato spesso incolmabile, tra parola e parola, tra lemmi non scelti, ed è lo spazio della non parola, una sorta di parola in divenire che ancora non è scelta “La parola accanto a me / l’orlo della parola / vicinissima”. È in questo infinitesimo spazio e tempo tra l’orlo e la pelle che la poesia attecchisce, mette radici, inizia a crescere: “La lirica / la non parola / tesa / tra / parola e parola”. Il linguaggio, l’espatrio, la poesia, gli oggetti, i confini, il respiro, gli altri (“affinché si possa ricominciare / tra tutti noi”), l’altro, lui, la realtà, il quotidiano, il desiderio di un altro mondo, di un altro continente, di scavare e trovarsi “dall’altro lato della terra / Là voglio / respirare più libera / là voglio inventare un alfabeto / di lettere operose”. Questo deve essere la poesia: operosa fatta di parole operose, parole fatte di lettere operose. E dunque una instancabile azione di scelta di ricerca, di pronuncia, di accostamento: “Ripeti ripeti ripeti / perché le parole non siano sole”.

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Hilde Domin, Lettera su un altro continente, Roma, Del Vecchio Editore, 2014

 

 

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