Erano chiamati i “bambini delle rondini” perché partivano il 19 marzo, giorno di San Giuseppe, e tornavano indietro, se tornavano, l’11 novembre, giorno in cui si festeggia San Martino. Per 300 anni dal 1700 fino alla metà del 1900, bambine e bambini dai 5 ai 14 anni venivano “venduti” dai genitori (che avevano tante bocche da sfamare) per svolgere lavori di fatica in vaste fattorie della Svevia (Germania). Compivano un viaggio sfibrante di circa 200 chilometri dalla Val Venosta (Alto Adige) per recarsi a Ravensburg. Messi all’asta al mercato cittadino come capi di bestiame, venivano smistati e affidati a ricchi contadini che li facevano rigare come prigionieri in un Lager nazista. Il fenomeno terribile era rimasto sottotraccia e indagato da pochi storici locali, fin quando, Romina Casagrande, meranese e insegnante di liceo, non decide di rimettersi idealmente e fisicamente in viaggio con quei piccoli diseredati. Per attraversare e indagare quel percorso ricorre a due personaggi, anzi tre, che rappresentano il passato e l’oggi di quella storia rimossa e dimenticata. In un racconto che va avanti e indietro nel tempo, troviamo Edna, una ragazzina sveglia e sensibile e Jacob, un ragazzo acuto che cerca di adattarsi agli stenti e alla cattività con arguzia, e di proteggere come può da abusi e violenze la sua amichetta, che chiama affettuosamente “Warmduscher” (Pappamolla). Lo stesso appellativo che ripete in modo ossessivo Emil, un pappagallo saccente, convinto di essere un’oca, visto che ha convissuto a lungo con un branco di oche starnazzanti. All’inizio del romanzo ritroviamo Edna, ormai molto vecchia, che divide la sua casa ombrosa e circondata dal verde con Emil, il pennuto. Oltre che con lui ha sporadici rapporti con Adele, una giovane amica che spesso le porta la spesa e soprattutto un settimanale tedesco che legge e rilegge con reverenziale attenzione. Proprio un brevissimo articolo la catapulta all’indietro e per l’anziana signora, tornata a vivere nella sua valle altoatesina, è arrivato il momento di rimettersi in gioco.
I “Bambini di Svevia” (Garzanti 2020) è un viaggio a ritroso alla ricerca di se stessi e di coloro con i quali per un periodo determinante si è condivisa la vita. Un racconto on the road, anzi “through mountains” assurdo e divertente, toccante e doloroso, in cui oltre ai tre indimenticabili protagonisti, troviamo il caleidoscopio di un’umanità variegata, dalla quale, se siamo in grado di ascoltare, impariamo sempre qualcosa.
I “Bambini di Svevia” (Garzanti 2020) è un viaggio a ritroso alla ricerca di se stessi e di coloro con i quali per un periodo determinante si è condivisa la vita. Un racconto on the road, anzi “through mountains” assurdo e divertente, toccante e doloroso, in cui oltre ai tre indimenticabili protagonisti, troviamo il caleidoscopio di un’umanità variegata, dalla quale, se siamo in grado di ascoltare, impariamo sempre qualcosa.
(N.D.R. Chi scrive è attualmente in “quarantena” in Alto Adige e il libro racconta di luoghi che conosce benissimo, e anche se impossibilitata a raggiungerli è stato bellissimo ripercorrerli nella mente. Grazie a Romina Casagrande, che mi ci ha condotta virtualmente per mano).
I “Bambini di Svevia” (Garzanti 2020) di Romina Casagrande – Pag.400
I “Bambini di Svevia” (Garzanti 2020) di Romina Casagrande – Pag.400