I dolori del giovane verde

D opo una lunga discussione su dove sia meglio preparare il pesto, con quale pestello, in quali coppe, di quali fogge e di quali materiali (discussione assolutamente oziosa), ho trovato una risposta, credo.

Chiudi gli occhi e immagina di essere un mazzetto di basilico tutto contento di trasformarti in pesto.

Vorresti dunque essere pestato a dovere per dimostrare a tutti quanto sei buono, quanto profumi, che magnifica squadra siete tu, l’aglio, l’olio, i pinoli. Quanto piacere puoi dare al gusto e all’olfatto, magari in una sera d’estate in terrazza, tra l’odore della pianta di limone e il gelsomino…

Sei fiero, disponibile, verdissimo… Ma c’è un ma. Ogni volta che il pestello cala, per la conformazione stessa del mortaio, tu gli scivoli sulle pareti. Non sei pestato, bensì malamente schiacciato. Una parte di te si appiccica al marmo, un’altra resta integra.

Cerchi di aggrapparti con tutti i peletti delle tue foglie, ma le pareti sono troppo lisce. Ti stranisci, diventi di cattivo umore, il tuo narcisismo è frustrato e vedi sfumato un intero progetto di vita. Ti immagini in vasetto. O peggio: nel maldestro tentativo di rimediare, in un frullatore.

Cosa pensi ? Te lo dico io: “Ah ! Se ci fossero dei segni in questo maledetto marmo ! Se solo potessi accomodarmi solidamente per poter essere pestato come vorrei !”

Così sono nati i centri concentrici in fondo al mortaio. Perché un cuoco più attento non è stato insensibile al grido di identità negata che saliva dal fondo del suo mortaio.

Per quanto riguarda la pulizia, personalmente non affiderei le mie erbette ad un mortaio di legno che, avido di natura, se ne tiene sempre qualcosa per sé. Guardo con sospetto perfino il tagliere. E infatti ne ho uno di strana plastica durissima.

Il marmo lo lavi bene, invece, cerchi o non cerchi. Ma chi non cerca qualcosa nella vita ?

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