I nomi e le cose

Non so come si chiama la sensazione che provo oggi, non sono capace di trovarle un nome.
Potrei dire calma, potrei dire pace, ma sarebbero tutti sinonimi senza significato. E poi, francamente, non sono un genio nel dare nomi alle cose.
Oggi un’arietta fresca e gentile muove le tende del mio soggiorno, i bambini sono a casa da scuola e non ho consegne immediate a cui tener testa.
Vengo pagata ad articolo, spesso poco, a volte un po’ di più – il mio è un mestiere che in termini economici “non rende”, devo prenderne atto – e non mi capita spesso di trovare momenti così idilliaci come questo in cui mettermi a lavorare, tanto vale approfittarne.
Con una mano sollevo il coperchio del portatile, con l’altra poso la tazza di caffè e con gli occhi a fessura ascolto ciò che proviene dalle camerette dei miei figli: niente.
Non mi sembra vero.
Mi siedo, do’ un sorso alla mia brodaglia calda, apro un nuovo file di Pages e annuso l’aria farsi sempre più fresca (forse c’è un temporale in arrivo, ma chi – di questi tempi – può dirlo con piena cognizione di causa?) poi premo shift per la maiuscola e comincio.
“Mammaaaaaaaa…” – eccolo, il temporale.
Io, soltanto io, sempre io, assolutamente e disperatamente io posso dire se un temporale è in arrivo e non è l’arietta fresca a farmi da avvertimento ma un urlo ben piazzato tra l’inizio del capoverso e il primo battere sulla barra spaziatrice.
Sospiro.
Li ho voluti io, li ho cercati io, li ho aspettati io.
Ed ora, eccoli qui – i miei figli, a tuonare in questa ennesima perturbazione.
“Che succede?” – grido di rimando mantenendo lo sguardo sul monitor, forse per non perdere la bella sensazione di pochi istanti prima.
“Niente, non trovo la miciaaaaaaaaa….” – panico.
La micia è Futura, una grossa Maine Coon di due anni e mezzo che ho adottato dopo il suo licenziamento da ex fattrice di un allevamento di zona.
Futura ama il prosciutto crudo, i pisolini in balcone e – ahimè- rendersi pressoché invisibile ad ogni minimo rumore o cambiamento di clima.
“Hai guardato dietro alle tende? Sotto al divano? Dietro la mia scrivania? La tua? Quella di tuo fratello?”
Sento la tensione farsi spazio e poco per volta, con spaventosa velocità, sostituirsi alla fresca calma di poco prima.
“Ho guardato dappertutto…” – mio figlio comincia a singhiozzare. E’ un maschio, perciò se guarda dappertutto ci sono sicuramente un bel po’ di posti in cui vale la pena controllare ugualmente, così mi alzo e abbandono il lavoro per cominciare la ricerca. Il cuore è in gola, sono sincera.
Amo quella gatta. E’ una reietta, una sfavorita dell’ harem, qualcosa di molto simile a ciò che sono stata io per tanto tempo – giusto quello che mi è stato necessario per trovare il vero amore.
(Rendendomi di fatto così fortunata dal pensare che, per contrappeso, io tutti i giorni debba avere una sfortuna nera – e qui eccoci all’odierna sparizione della felina).
“Non la trovo… oddio…” – la voce mi muore in gola. Mio figlio grande, gene dell’ansia peggio del mio, si unisce alla ricerca ma sento che ha un tono stridulo e teso.
“Non c’è…” – Signore, non puoi farci questo! Non puoi averle permesso di scappare… – “Non la trovo nemmeno io…”
Il piccolo è perduto, piange disperato e si batte il petto.
“E’ colpa mia, l’ho persa io, chissà dove l’ho ficcataaaaaaaa!”
Da lì, tutto si ferma.
“In che senso ficcata? Che vuoi dire? Smetti di piangere e parla, comunica adesso o mai più!”
Sento gli occhi fuori dalle orbite, il cuore mi batte a duecentotrenta RPM.
“Eh, probabilmente l’ho gettata dietro al letto, giocando, ieri …hai presente? E’ già successo…”
E lì madre, padre, figlio maggiore e pesci rossi dall’acquario si fermano – chi con una sedia in mano e chi con un cassetto svuotato (si sa mai fosse finita lì).
L’ancistrus giallo limone occhieggia dal vetro.
“Stai parlando di Futura, la nostra gatta, vero?”
Il piccolo alza le spalle.
“Ma no! Futura sta dormendo sotto alla mia scrivania…Ho perso la mia micia di pelouche, come faccio a dormire stanotte?”
Dateglielo sempre un nome alle cose, datemi retta.

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