Consiglio a tutti di visitare un campo di sterminio.
Storia, documentari, film, non dicono quanto la visione diretta di quei recinti, muri, baracche, pagliericci, forni, indumenti.
Provate a passare in rassegna le foto appese nei corridoi degli edifici, quella lunga teoria di volti di donne, bambini, uomini, vecchi, giovani.
Espressioni vuote, quasi attonite, stupefatte, annichilite, di gente come me, te, noi, catturate dalla tenaglia di un destino quasi incredibile nel suo orrore.
E’ forse il momento peggiore, quello, quando si associano quegli occhi ai recinti, muri, baracche, pagliericci, forni, indumenti.
Chiedono aiuto, troppo tardi, a chiunque li fissi. Quello è il momento in cui il cuore si spacca. Il taglio, poi, si rimargina. Dopo un’ora, un giorno.
Ma per fortuna la cicatrice resta, ed è come una mano che, ogni volta, davanti a qualsiasi violenza e orrore, prende la tua e ti conduce dalla parte giusta.