Il festival di Woodstock si svolse da venerdì 15 a domenica 17 agosto 1969, ma Jimi Hendrix suonò lunedì 18, dalle 9 alle 11 del mattino, quando moltissimi partecipanti al raduno se ne erano già tornati alle loro occupazioni. Quando si dice Woodstock si dice Hendrix. L’esibizione fu una delle più lunghe e ispirate della breve carriera del chitarrista di Seattle. Tutti ricordano certamente l’inno americano che Hendrix dissacrò, distorcendolo all’inverosimile, per commemorare i quasi 60 mila ragazzi americani riportati dal Vietnam dentro bare avvolte dalla bandiera adorna di stelle. Folle, inumana direi, è l’improvvisazione di quattro minuti a cui Jimi si abbandona prima di attaccare il pezzo di chiusura: Hey Joe. Era un chitarrista unico. Preciso come un raggio laser. Velocissimo. Probabilmente il più veloce con una chitarra elettrica. Un virtuoso al pari di Paganini o Lizst. Eppure di solito non si pensa che Hendrix è stato soprattutto un bluesman. Se non fosse morto a 27 anni sarebbe stato il più grande bluesman di sempre. Pochissime sono le incisioni in cui è possibile ascoltare Jimi che canta, con una chitarra acustica, blues tradizionali. Sono rarità per la bellezza dell’esecuzione, la pulizia del suono, la voce energica, che, allo stesso tempo, fa trasparire un certo stupore, come a dire «ma sono proprio io che canto?», nonché un metus reverentialis nell’accostarsi a un genere musicale sacro. La maggior parte degli uomini continuerà a ricordare Hendrix per quell’esibizione di 46 anni fa, io lo ricorderò sempre per il suo blues.