Nel tempo di un caffè

«Ho il tempo di un caffè» mi hai detto. Le tue parole, ho evitato cadessero per terra. Vista e udito si confondono l’una con l’altro. Mi sento felice. La testa ha cominciato a girarmi come una giostra. O è il mondo che mi mette alla prova. Ho perso tempo e orientamento e le lancette mi appaiono l’ornamento sospeso su un, come si chiama? Si ecco, quadrante. Ti sei accorta che mi sono perso. Mi ci vorrebbe un cognac per riprendermi, altro che caffè. La mia anima è rimasta lì dopo il colpo, sull’asfalto. Il corpo invece tiene fede al suo onore maschio. Che stupido, saresti stata un bravo medico, se solo avesse eseguito il mio ultimo ordine: cadere, dritto tra le tue braccia.
« Amaro per me, grazie ».
Cavoli, gli stessi gusti. Solo ora scopro che l’amaro della vita non è mai veramente amaro. L’amore per il caffè, adesso, ha il sapore dello zucchero filato. Gusti si mischiano, mentre giri – chissà cosa poi – il cucchiaino a testa in giù nella tazzina. Guarda, il mio rito. Sorrido, eppure non ti conosco. Non so come sei, o come sono i tuoi capelli sotto la lana del cappello in questo gelido mattino napoletano. Di che colore hai gli occhi? Non ho il coraggio di guardarti. Mi tuffo nella tazzina. No, ti guardo, non devo aver paura.
Mi piace. L’amaro della vita s’è sciolto. Dio mio, rischio il diabete. Sorseggio, c’è qualcosa che mi strattona. Esco un momento. Devo recuperare la parte di me rimasta lì fuori, al freddo, non voglio farla soffrire di solitudine. Te la presento.

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