Il cane che aveva due nomi

Mi piaceva un sacco, da bambino, andare a zonzo con mio nonno. Si saltava sulla Panda color camicia di postino e si partiva, senza meta, senza orario.
Un giorno mi porta da un suo amico, Armando, muratore in pensione che si era costruito una casa in collina.
Armando ci guida a spasso per sentieri e dietro ci trotterella un cane, tipo spinone, ma incrociato con chissà cosa.
«Che bello – dico io. – Come si chiama?»
«Ehm… Fufi.». E ridono, Armando e nonno, si sganasciano.
Ma che razza di nome è, mi domando, e cosa c’è di così divertente? Conosco mio nonno, immagino che i suoi amici non siano tanto diversi da lui. C’è sotto qualcosa.
Aspetto l’occasione giusta, che arriva poco dopo.
«Ho un bisognino» dice nonno.
«Andiamo a casa?»
«Mocché, mocché» e si avvia verso il fosso.
Rimango solo con Armando: «Perché l’ha chiamato così, il cane?».
Il muratore fa il vago: «Non mi veniva niente di meglio». Lo guardo storto.
«Va bene, però non dire niente a tuo nonno. Il vero nome è Sbatalcàz, ma mi fanno tutti una testa così che non sta bene. Mia moglie, le mie figlie, tua nonna… han tutti da ridire. Quando c’è gente lo chiamo Fufi, così nessuno mi rompe i maroni».
Sbatalcàz. Credo che si capisca al volo anche fuori dall’Emilia.
«Ah. E perché Sbatalcàz?».
Armando sospira. Raccoglie un rametto, lo fa annusare al cane e lo lancia in mezzo ai campi. Lo spinone guarda Armando come per dire «sai dove te lo puoi infilare, quel bastoncino?».
Il muratore indica con la testa Sbatalcàz, stravaccato sull’erba: «Capito adesso?». In effetti, nessun altro nome al mondo avrebbe potuto racchiudere così bene l’essenza dello spinone. Nonostante questo, tornati a casa avrei detto a mia nonna che avevo conosciuto il cane più pigro del mondo: Fufi.

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