Un centralino della polizia danese che risponde alle chiamate d’emergenza: Asger Holm, da poco confinato nella stanza insieme ad alcuni colleghi, prende le telefonate. La telecamera è fissa sul suo viso, un volto comune, e tale resta per tutta la durata del film. Gustav Moeller, 31enne, regista al suo primo lungometraggio, mette in scena un thriller di incredibile impatto psicologico, il cui protagonista è uno solo, col suo telefono, il suo computer e la sua voce. Asger non si muove mai di lì, dalla sua sedia, si sposta solo per poco in una stanza attigua. Parla in cuffia con chi chiede aiuto e si trova a dover risolvere un caso drammatico che gli si presenta attraverso le voci concitate, dolenti, maschili, femminili e persino infantili che lo contattano. 85 minuti di adrenalina in corpo per chi segue quasi in apnea ciò che succede. Ma che chi guarda è libero di interpretare come vuole, dato che il racconto si svolge solo attraverso le voci al telefono, eppure mille volte più efficace e coinvolgente di azioni esplicitate. In un crescendo di colpi di scena la prospettiva e la percezione iniziale di Asger si ribalta, portandolo a mettere in discussione se stesso, le sue convinzioni profonde in modo rigoroso, e a fare i conti con la propria coscienza. Claustrofobico e angoscioso, “The Guilty”, che possiamo paragonare a Locke per la stessa modalità solipsistica, è un film, per chi scrive, che sfiora il capolavoro. Bravissimo l’interprete, Jakob Cedergren, nomination agli Awards per miglior autore europeo.
(C. Firrao)
(C. Firrao)
Sconsigliato a chi ha problemi di claustrofobia e a chi predilige solo film con effetti speciali o banali action movies, ma consigliatissimo a chi ama davvero il cinema. Questo film di ottantacinque minuti in tempo reale, che certamente piacerà a pochi, è invece un piccolo capolavoro. Opera prima di un giovanissimo regista svedese che è riuscito con un unico attore (tra l’altro molto somigliante a Kevin Costner) sempre chiuso nella stessa stanza, a creare un clima con il massimo della suspence e il minimo di soldi. Tutto avviene attraverso il telefono e inevitabilmente ci vengono in mente altri bellissimi film di questo genere come “Il terrore corre sul filo” con Barbara Stanwych e Burt Lancaster, il famoso monologo di Anna Magnani (regia di Rossellini) dal titolo La voce umana e i più recenti Locke o In linea con l’assassino. Questa storia è una sorta di pièce teatrale con la macchina da presa sempre addosso al protagonista (di lui vediamo anche il sudore e ogni battito di ciglia) in un continuo ansiogeno andirivieni tra i suoi primi piani, il telefono che squilla e la nostra immaginazione che (proprio perché degli altri udiamo solo la voce) si dilata. Intuiamo che dall’altra parte del filo sta succedendo qualcosa di brutto, intuiamo che il protagonista si fa anche troppo coinvolgere perché pure lui ha dei problemi da risolvere, intuiamo che forse non è tutto quello che sembra. Questo film certamente psicoanalitico, che parla di sensi di colpa, di certezze che crollano e mai noioso, anzi, che si svolge con ritmo serrato e colpi di scena, ci fa uscire dal cinema stremati ma soddisfatti. Aspettiamo con curiosità il prossimo lavoro di questo bravo regista.
(G. Maldini)