Nouvelle vague, «sont des mots qui vont très bien ensemble», direbbero i Beatles. Registi giovanissimi. Film mai visti prima. Jean-Luc Godard che a trent’anni gira il capolavoro À bout de souffle dopo che un anno prima François Truffaut aveva aperto i giochi con Les quatre-cents coups. Nel ’63 Godard spara di nuovo alto: Le Mépris, da un romanzo di Moravia. La lavorazione è un disastro. Carlo Ponti, che produce il film, lo fa uscire in Italia il 29 ottobre: versione tagliata, dialoghi cambiati, il tema d’archi di Georges Delerue sostituito da stacchetti jazz. Si realizza ciò che Godard profetizza nel film stesso: un produttore senza scrupoli chiama uno scrittore di gialli a rifare la sceneggiatura di un film sull’Odissea. Lo scrittore, più per distrazione che per calcolo, lascia che il produttore corteggi sua moglie. Lei si sente usata, dichiara al marito il proprio disprezzo, scappa in auto col produttore e muore in uno scontro. Un melodramma, se non fosse che i personaggi sono simboli: il denaro, l’arte, la bellezza, il destino. Quando l’arte si piega al denaro e gli cede la bellezza, arte e bellezza muoiono, mentre il denaro, che non può far altro, sopravvive, e il destino osserva impassibile. La bellezza è la Bardot, l’arte Michel Piccoli, il denaro Jack Palance e il destino Fritz Lang. Il film, nell’edizione francese, è un capolavoro. La sequenza iniziale, con la Bardot nuda sul letto, può creare dipendenza.