Non se ne accorse subito. Quando si era alzato, quella mattina, tutto gli era parso quietamente normale: una luce fredda, invernale, filtrata dalle imposte, lo aveva come sempre ridestato dall’oblio notturno, prima del suono intermittente della sveglia. Non aveva fatto neppure troppa fatica a scaraventarsi fuori dalle coltri, anzi, l’idea di farsi un caffè caldo lo attirava assai. Ciabattò fino al bagno e quando ne uscì si sentiva proprio bene: la breve doccia lo aveva rinvigorito, non aveva lesinato col dopobarba e l’idea di presentarsi al lavoro pulito e profumato lo mise ancor più di buon umore. Si vestì con studiata cura.
Aveva notato compiaciuto che la nuova impiegata dell’archivio lo seguiva con lo sguardo (benché, osservata a sua volta, distogliesse subito gli occhi) ogni qual volta egli portava i fascicoli da depositare. Fantasticò di frasi galanti e incontri roventi, provò persino alcune espressioni affascinanti allo specchio, alzando calcolatamente il sopracciglio sinistro e stirando le labbra in un sorriso sbieco. Si spettinò deliberatamente il ciuffo chiaro e si mandò un saluto ammiccante riflesso. Uscì di casa.
Scese i gradini due a due, pieno di energia e di ottimismo. La signora del primo piano, che rientrava dal giretto con Fido, lo salutò cordialmente: “Buon giorno, signor Guidi! Fa un freddo, stamattina…” “Mdjhgasdmjhg” rispose con altrettanta cordialità lui, sorridendole. “Eh?” rimase attonita la signora, ma intanto il giovane aveva già varcato il portone. “Signore, biglietto” lo apostrofò poi il controllore sul bus. “Jghdskjdkgfjh” gli replicò allegro, porgendogli l’abbonamento. “Giovani… sempre a prendere per i fondelli la gente che lavora…” bofonchiò tra sé il controllore, allontanandosi nell’intrico di gambe in bilico e braccia appese.
Arrivato a destinazione, scese con un balzo dal bus, rinvigorito dalle sue aspettative. Entrò in ufficio e rivolse un “Shfjhgdkhdk sjdhj!” ai colleghi e una strizzata d’occhio all’impiegata dell’archivio, che – guarda caso – era dalla macchinetta del caffè dell’atrio. “Ciao, burlone” gli sorrise il vicino di scrivania, quello con cui aveva legato di più in quei due anni trascorsi nella ditta. La ragazza, invece, aggrottò la fronte e una smorfia di disappunto le piegò le labbra. “Rjyfjhdosd” confidò Guidi al collega, ma questi gli rispose un po’ seccato: “Beh, adesso basta, però!” “Hkssdhskdbdj?” ribatté meravigliato lui. “Insomma, esageri!” chiuse il discorso, irritato, l’amico, immergendosi nelle carte che affollavano la sua scrivania.
Anch’egli si mise al lavoro, un po’ contrariato per la strana reazione. Lavorò di lena fino alla pausa pranzo, intento a dipanare un problema alquanto intricato. Quindi si alzò, stiracchiandosi leggermente, un po’ intorpidito per la lunga immobilità. “Alehgwekgh” disse avviandosi verso la mensa, mentre il vicino di scrivania sbuffava. Strategicamente attese che arrivasse la ragazza dell’archivio per materializzarsi accanto a lei nella fila. “Khsldhvalhdhg hsddjhgsdjf bxcvgsdi jsdsdg”, prese a gigioneggiare brillantemente lui, ma la giovane gli rispose gelida: “Ha finito di fare il buffone?”, quindi si spostò qualche posto indietro, proprio vicino a Grillacci, quel bellimbusto da strapazzo dell’ufficio reclami.
Tutto il buonumore del mattino era ormai svanito. Mentre tornava imbronciato alla sua scrivania, rifletteva amaramente su tutti i buoni auspici che avevano colorato il suo risveglio e che ora, inspiegabilmente, erano crollati. Chissà cosa avevano tutti, quel giorno… “GUIDI!”, lo chiamò imperiosamente il direttore, “Nel mio ufficio. SUBITO!” E adesso? Cosa c’era di nuovo? “Guidi”, iniziò il direttore, indicandogli con gesto impaziente di accomodarsi davanti a lui, “da quanto tempo lavora per noi? Un anno, due anni?” Non gli diede il tempo di rispondere che subito riprese: “Mi sono state segnalate la sua dedizione al lavoro e il modo brillante con cui ha risolto la pratica Monfino” …ah, quindi questo non ce l’aveva con lui… si sentì sollevato, mentre il direttore continuava: “e perciò voglio metterla alla prova e nello stesso tempo dimostrarle la mia fiducia, affidandole un incarico di maggiore responsabilità. Se la sente, Guidi?” “lnxcvbjshdgsh!” si affrettò a confermare l’impiegato, alzandosi di scatto in piedi e tendendo la mano al direttore. Ma questi, invece di stringergliela sorridendo, come si era aspettato, lo fissava sbalordito “Ma cosa sta borbottando?” e chi sta borbottando? si disse tra sé Guidi, ma educatamente ripetè forte, scandendo bene le sillabe: “INX CVB JSH DGSH!” “E HA ANCHE LA FACCIA TOSTA DI URLARLI, I SUOI FARNETICAMENTI? E io che le offrivo una promozione! Ah, ma gliela farò vedere a quelli che me l’hanno segnalata…”. Vanamente Guidi cercò di calmarlo: “Kbksjdgfehglkdf, vhsfsf, sgkgkgvdhckfln”, anzi, più parlava e più il direttore si faceva paonazzo ed esagitato: “E IN QUANTO A LEI, CARO MALEDUCATO CRETINETTI, SAPPIA CHE QUI DA NOI HA CHIUSO, HA CAPITO? CHI-U-SO!! E LA PIANTI DI DIRE STRONZATE!!!!!!!!!” e quasi di peso lo scaraventò fuori dalla sua stanza.
Guidi si appoggiò barcollante alla parete del corridoio. Si osservò le mani: le lunghe dita tremavano incontrollate. Si sentiva male, la testa gli girava, non capiva più niente. Cosa stava succedendo? Cosa stava succedendo? Ripeteva tra sé e sé questa frase e intanto, sempre tremando e barcollando, tornò nel suo ufficio e si accasciò sulla scrivania. “Ehi cos’hai, stai male?” lo interrogò preoccupato il collega. Niente. Guidi non alzava il capo dalle braccia che lo nascondevano. Le spalle erano scosse da singhiozzi irrefrenabili e silenziosi. “Ma insomma cos’hai, che è successo?” insistette sempre più preoccupato l’altro. “Asdkbfhldsld jhdvdj lskhdibhd jvhaskhdhlbll!”, gli raccontò tra le lacrime il povero giovane. “Ma che vai dicendo? Insomma, basta! E’ da stamattina che farnetichi!”.
Improvvisamente i singhiozzi cessarono. “lsvkbòfbfjh?” “COSA STAI DICENDO? NON TI CAPISCO! Gianni, NON TI CAPISCO PIU’!”. Senza aggiungere altro, Guidi andò al pc e fece cenno all’amico di andare al proprio. “In che senso non mi capisci?” inviò subito “Nel senso che pronunci lettere e parole senza senso” scrisse in risposta il collega “Ma io non me ne accorgo!”, si disperò in mail il primo. “Eppure è così, ti giuro!”, gli garantì in replica l’altro. Sempre attraverso la posta elettronica, Guidi raccontò cosa gli era capitato, dalla buca con la ragazza dell’archivio fino all’ira funesta che involontariamente aveva scatenato nel direttore. “Hlòdfbhh jfnb.skjfnbkjbhls” scrisse infine. L’altro alzò il capo dallo schermo ed esclamò: “Oh no! Adesso inizi anche a non sapere più scrivere! Devi andare subito da un medico, non perdere tempo. Parlerò io al direttore per spiegargli tutto”.
Lo aiutò premuroso a infilarsi la giacca, gli passò una mano sul ciuffo in un imbarazzato tentativo di sistemarlo e rincuorarlo ad un tempo. Si ritrovò così su un marciapiedi affollato, sballottato tra gente che neppure lo vedeva, che lo urtava e, vedendolo confuso e barcollante, lo pensava in preda all’alcol o agli stupefacenti. Doveva trovare un medico, si ripeteva intontito, un medico, sì, un medico.. ma come spiegargli, come parlare, come comunicare? Fu preso dalla disperazione, e cominciò a piangere, sempre più forte, in maniera inconsulta e a urlare “Kaskdjvbaksjb! kjbhldkbhfjn-hhp! c,nksdf!!!KUGKUYFKUYDJYGDHTDVHH!!!!!!”.
“AAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHH!!!!” si svegliò urlando, sudatissimo e paonazzo. Che incubo orrendo. Sbatté le palpebre per mettere a fuoco la sua camera. Una luce fredda, invernale, filtrava dalle imposte. L’idea di farsi un caffè caldo e di dimenticare quel sogno che già andava confondendosi nella sua mente, lo attirò fuori dal letto. Ciabattò fino al bagno e quando ne uscì si sentiva proprio bene: la breve doccia lo aveva rinvigorito, non aveva lesinato col dopobarba e l’idea di presentarsi al lavoro pulito e profumato lo mise ancor più di buon umore. Si vestì con studiata cura. Aveva notato compiaciuto che la nuova impiegata dell’archivio lo seguiva con lo sguardo (benché, osservata a sua volta, distogliesse subito gli occhi) ogni qual volta egli portava i fascicoli da depositare. Fantasticò di frasi galanti e incontri roventi, provò persino alcune espressioni affascinanti allo specchio, alzando calcolatamente il sopracciglio sinistro e stirando le labbra in un sorriso sbieco. Si spettinò deliberatamente il ciuffo chiaro e si mandò un saluto ammiccante riflesso. Uscì di casa. Scese i gradini due a due, pieno di energia e di ottimismo. La signora del primo piano, che rientrava dal giretto con Fido, lo salutò cordialmente: “Glskhlskhwriutjbdfbk!”.