C’è più da dire sul dopo Berlusconi, appena iniziato, che sul durante. Sul prima da dire ci sarebbe, la spietata, togata macchina da guerra che lo depositò sul trono a propria insaputa e cose così. Sul durante, poco, pochino, forse niente. Una rivoluzione liberale rimasta nel pennino della stilografica di un notaio compiacente. Qualche barzelletta. Tante tristi figure da italiano in gita. Troppo impegnato a difendersi nei processi che la macchina da guerra, pentita, gli scatenava addosso per mondarsi la coscienza, si è detto, e magari è vero. Il Milan. Uno spread a 600.
Ma il dopo, il dopo è da antologia.
L’esigenza quasi palpabile, tangibile, di riempire il vuoto di cui sopra con fiumi di lacrime di coccodrillo (mi verrebbe da caimano ma lasciamo stare), con funeree adunate oceaniche che Silvio, da vivo, si sarebbe sognato nel 2023, con vignette ed articolesse olezzanti di cianuro, indegne del senso di umanità e prova provata che la trasformazione della politica e dell’animus stesso degli italiani indotta dal secondo ventennio della nostra Storia è riuscita perfettamente: siamo infinitamente peggiori di quando eravamo democristiani, comunisti e forse anche fascisti.
Naturalmente tutto ciò non è solo colpa di Silvio Berlusconi. “Io non ce l’ho con te, ce l’ho con chi ti mette su quel palcoscenico!” strillava in romanesco al plebeo il comico che si arrabattava sulle tavole del teatrino di periferia.
Al fianco di Berlusconi, in un ideale versione da vaudeville del Quarto Stato di Pellizza, marcia l’intera politica italiana dell’ultimo trentennio, seguita da un popolo sempre più groggy e sempre più incline alla diserzione elettorale, dopo averle tentate tutte tranne la serietà. Mondo connivenza, mi vien da dire.
Ma torniamo al dopo.
La più divertente sarebbe la tendenza, espressa da parte dei fedelissimi, a volere alla guida del partito mai partito Marina, la figlia del Cavaliere. Praticamente una patente di monarchia ereditaria, rilasciata ufficialmente a quello che fu il partito di maggioranza assoluta della Repubblica. Una donna sola al comando, basta che porti il cognome fatale. Giorgia Meloni si guardi dalla arrembante Alessandra Mussolini ed Elly Schlein tenga d’occhio Bianchina Berlinguer.
Del lutto nazionale, dei funerali di stato, della semana penitenziale modello sivigliano, ricordata puntualmente dopo la pubblicità su Mediaset con struggenti frasi di addio, del tentativo evidente di superare in strazio il recente modello varato in occasione del cordoglio espresso per la Raffaella Carrà, delle trasmissioni fiume che occupano trasversalmente palinsesti sempre assetati di sofferenza fresca diremo solo che ce li aspettavamo, tutti. Un’overdose berlusconiana che però, a lume di naso, si ritorcerà sui dolenti, ignari del fatto che il popolo italiano è esagerato, appassionato, ma anche stufarello, nel senso che più ti esalta prima e più ti relega velocemente nell’oblio. Dopo.